«Il momento magico della città nasce da una formula. Eccola»
L’economista della cultura ospiterà in casa alcune letture ad alta voce
Via Telesio. La vecchia Milano di zona Pagano, quella risparmiata dalle bombe della Seconda guerra mondiale, case di primo ‘900. «Una volta qui ci abitavano i nuovi ricchi, la borghesia emergente», dice Paola Dubini, facendo strada nel bellissimo salotto che si allunga in due ambienti distinti e luminosi. Libri ovunque, arte contemporanea alle pareti. E i piedi nudi di una donna brillante e accogliente. In questa casa, la professoressa Dubini (insegna Economia della cultura alla Bocconi) ospiterà il pubblico di Bookcity in uno dei cicli-novità di questa edizione: le letture ad alta voce in (selezionate) case private.
Perché questa scelta?
«Potrei controbatterle con un “e perché no?”»
Di certo, è una casa grande e «calda».
«La verità è che è un modo diverso per incontrare sia gli amici sia gli sconosciuti e rendere la cultura qualcosa di tangibile. Di condiviso».
Che cosa si leggerà?
«Tra le varie cose, brani da Il vecchio e il mare. Ma ci saranno anche altre sorprese».
Bookcity, Pianocity, Museocity. E così via. Che costa sta succedendo a Milano?
«Un grande momento, un momento magico per la cultura. Per la verità non è nato dal nulla (e qui parla l’economista, ndr): da sempre Milano coltiva certi settori, dall’editoria al design alla moda all’arte. Con un lavoro di fino fatto dalla politica e dai privati. Ma la differenza rispetto ad altri casi è che a Milano la cultura è vista come qualcosa di “importante”. Da associare alla legalità. E penso che sia stato un episodio, avvenuto nel 2015, a rendere istituzionale questa situazione».
Quale?
«I cittadini che scesero in strada a pulire vetrine e muri imbrattati dai manifestanti contrari a Expo. Ragazzi, anziani, donne, uomini. Fu un movimento trasversale ripreso e rilanciato dai media che a mio avviso mandò un messaggio chiave: non solo con la cultura si mangia, ma la cultura è parte delle nostre istituzioni».
E come spiega il successo di Bookcity o di altre rassegne che lei ha citato prima?
«È una formula con tre ingredienti che si combinano bene: la politica, l’economia e, cosa fondamentale, il coinvolgimento di tutti, dalla gente ai piccoli “attori”, come i librai e le biblioteche nel caso di Bookcity. Evento che, come tutti sanno, non ha una regia verticale: ha un coordinamento ma poi tutto nasce spontaneamente. Questa componente dal basso è molto importante perché le iniziative che sono solo economico/commerciali alla lunga stufano. Vedi la settimana della moda, che comincia ad accusare una certa stanchezza. In Bookcity o Pianocity c’è un grande equilibrio di domanda e offerta perché tutto nasce da un’onda naturale. E che si espande fino ad abbracciare la città metropolitana, quella sì la grande sfida dei cosiddetti eventi culturali».
La periferia, tema delicato. Anche parlando dell’asse Milano-Torino.
«Che penso ora sia necessario. Torino ha il merito di aver creduto nella cultura e, intorno a questa, di aver creato una strategia con investimenti a lungo periodo. E con ottimi risultati, dall’arte all’editoria».
Facciamo i nomi.
«I sindaci, per esempio, Castellani, Chiamparino, Fassino. Investirono in cultura laddove si stava impoverendo l’industria. Oggi questo è un modello maturo, che quindi, per sua natura, ha bisogno di un sostegno. Ecco perché l’alleanza con Milano si deve fare».
Per chiudere, che cosa sta leggendo Paola Dubini?
«Ho letto un libro che mi ha colpita al cuore, Il ritorno, di Hisham Matar. Ma io mi faccio consigliare dai bravi librai».