Violento terremoto colpisce il Kurdistan, più di 7 mila feriti, 50 tir di aiuti dalla Turchia. Paura per una diga «Case come bare»: oltre 400 morti in Iran-Iraq
DALLA NOSTRA INVIATA
«Non c’è stato niente da fare. È arrivato a Sulaymaniyah già morto». C’è anche un bambino di 9 anni, con il corpo e la testa straziati, tra le oltre 400 vittime del sisma di magnitudo 7.3 che domenica sera alle 21.48 ora locale ha colpito al confine tra l’Iraq e l’Iran. Una notte da incubo e un bilancio che non sembra mai avere fine, con il conto dei feriti che ieri sera ha superato i 7 mila. Dopo la guerra e le tensioni politiche dovute al referendum per l’indipendenza, soffre ancora il Kurdistan, investito dal più letale dei terremoti del 2016, con l’epicentro registrato — crudeltà del destino — a 20 chilometri dalla cittadina di Halabja, teatro nel 1988 degli attacchi con il gas ordinati da Saddam Hussein.
A essere maggiormente colpito il lato iraniano, il numero più alto di vittime è a Sarpol-e Zahab, nella regione di Kermanshah, dove l’ospedale principale è rimasto senza corrente. Immediatamente si è mossa la macchina degli aiuti per raggiungere i 70 mila sfollati. L’ayatollah Ali Khamenei ha chiesto a esercito e pasdaran di intervenire. Non mancano, però, le polemiche. La maggior parte dei crolli sarebbe infatti dovuta ai progetti di costruzione dell’ex presidente Ahmadinejad. «Le case si sono trasformate in bare», è l’accusa dei riformisti.
Oltre ai messaggi di cordoglio da tutto il mondo, papa Francesco in testa, sono partiti anche i primi convogli umanitari. «Sono già 50 i tir che hanno superato il confine di Habur», ha fatto sapere il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che sembra aver sospeso la minaccia di chiudere la frontiera terrestre dopo aver bloccato lo spazio aereo con l’Iraq del Nord in seguito al referendum. E dodici tonnellate di aiuti sono in partenza anche dall’Italia.
Preoccupazione anche per i numerosi connazionali presenti in zona. «Noi stiamo bene e le nostre strutture non hanno subito danni gravi», spiega al Corriere Pietro Calogero della ong italiana Emergency. Sei le vittime sul lato iracheno, 400 i feriti, mentre non si fermano i crolli nei villaggi dove le abitazioni sono realizzate per lo più in mattoni di fango. Preoccupa anche la diga di Derbendkhan che presenta delle crepe. Risulta, invece, stabile la diga di Mosul, come confermano i tecnici italiani della Trevi, ancora al lavoro per garantire la sicurezza dell’impianto minacciato fino a pochi mesi fa dall’Isis.
Il sisma è stato avvertito fino a Bagdad, ma anche in Turchia, Kuwait, Israele ed Emirati. «All’inizio ho pensato si trattasse di una bomba poi qualcuno ha gridato “terremoto”», ha raccontato alla Reuters una donna residente a Bagdad. E la paura non è mancata a Erbil, dove tutti ripetono senza sosta «qui ci mancava anche il terremoto».
Ospedali in difficoltà Nella regione di Kermanshah l’ospedale principale è rimasto senza corrente