Il giallo della pittrice uccisa L’ex marito tenta il suicidio
L’uomo e il figlio indagati per omicidio. I tre cellulari spenti insieme
Un orologio griffato, con perline e strasse. E una placca metallica nell’articolazione del polso destro, conseguenza di un intervento chirurgico. Questi, oltre a una croce con il simbolo del tau, a un paio di leggins maculati e alle scarpe da tennis, sono gli elementi che portano gli inquirenti a non avere più dubbi sull’identità del corpo trovato in un fosso vicino a Tolentino (Macerata). Solo il test del Dna confermerà ufficialmente che i resti sono di Renata Rapposelli, la pittrice 64enne sparita il 9 ottobre da Ancona, dove viveva, lavorava e frequentava alcuni gruppi religiosi, gli stessi da cui è partita la denuncia di scomparsa.
Ieri l’ex marito, Giuseppe Santoleri, pensionato, 67 anni, ha tentato di togliersi la vita ingerendo una dose massiccia degli ansiolitici che assume abitualmente. Ora è ricoverato in rianimazione ad Atri, nel Teramano, ma è fuori pericolo. Di certo oggi non potrà comparire di fronte agli inquirenti che lo hanno indagato per concorso in omicidio e occultamento e distruzione di cadavere assieme al figlio Simone, 43 anni, disoccupato. «Ho vissuto la giornata più brutta della mia vita — ha confidato ieri Simone Santoleri ai suoi legali —. Ho scoperto che mia madre non c’è più e mio padre stava per morire». Ma l’indagine, coordinata dal procuratore della Repubblica di Ancona Elisabetta Melotti e dal pm Andrea Laurino, con l’aiuto dei reparti operativi dei carabinieri di Ancona e Teramo e del Ris di Roma, continua a concentrarsi su loro due.
I fatti. Lunedì 9 ottobre Renata «Reny» Rapposelli arriva in treno a Giulianova intorno alle 13. La visita al figlio e all’ex marito, che abitano in un piccolo appartamento di 30 metri quadrati, è inattesa. Ma ha uno scopo preciso: recuperare i 1.800 euro di alimenti che Giuseppe le deve. A casa, secondo il racconto dei due uomini, lei si arrabbia. «Come? A me non dai i soldi che mi spettano e poi ti compri la cucina nuova?». Volano parole grosse, poi il figlio racconta di aver detto al padre: «Portala via, per favore, riportala a casa sua». Renata sarebbe salita nella Fiat 600 bianca e lui avrebbe imboccato la statale verso Ancona. Ma il viaggio si sarebbe interrotto vicino al Santuario di Loreto per una lite. Lei si sarebbe allontanata e lui avrebbe ripreso la strada di casa.
La versione dei Santoleri non convince gli inquirenti. Il sospetto è arrivato con la testimonianza di Simone. Piena di dettagli, come a voler giustificare l’eventuale ritrovamento di tracce della madre in casa e nell’auto. Altro indizio: i telefoni di Simone, Giuseppe e Renata vengono spenti quasi contemporaneamente il giorno della sparizione. Quelli dei due uomini si riaccenderanno solo tre giorni dopo, quello della donna non è stato trovato. C’è infine la supertestimone: la dipendente di una farmacia di Tortoreto, confinante con Giulianova, che ha riconosciuto Reny il 9 ottobre verso le 17, quando le ha chiesto un calmante. A quell’ora, secondo il figlio, era già nelle Marche. «Potrebbe essere stato un falso avvistamento — sostiene l’avvocato Gianluca Carradori, che assiste padre e figlio con altri due legali — e poi il corpo è stato trovato in un luogo impervio e distante dalla casa dei Santoleri. Ci auguriamo che la Procura valuti altre piste».