Corriere della Sera

DI MAIO, RE DELLE GAFFE? LO AVVICINANO ALLA GENTE

Le cantonate del candidato premier del M5S sono interdisci­plinari, ma ogni sberleffo ha un effetto boomerang: lui può diventare una vera icona pop

- Di Goffredo Buccini

La domanda è semplice: con chi stiamo, d’istinto, tra Pinocchio e i sapientoni al suo capezzale? Dovrebbero porsela, talvolta, una certa intellighe­nzia e un certo popolo social (specie la parte tendente a sinistra) prima di esercitars­i nell’ennesimo, troppo facile, tiro al Gigino.

Perché, sì, è vero, l’altra sera davanti a Fabio Fazio, il giovane Di Maio s’è esibito in un nuovo sfondone, straparlan­do degli incontri all’estero con i propri «alter ego». Affermazio­ne inquietant­e anche dal punto di vista psicanalit­ico, buttata lì con la consueta, ben pettinata leggerezza; alla faccia di Dostoevski­j e del suo Sosia, di Stevenson e dei suoi Jekyll e Hyde, e insomma di un archetipo fondante, quel doppio che, sospeso tra bene e male, attraversa come un filo mitologia, letteratur­a, filosofia fino all’anima di ciascuno di noi; ma, purtroppo per Gigino, anche ad onta del liceo classico (!) frequentat­o a Pomigliano d’Arco e persino a dispetto della mamma che sappiamo, dai curricula del figliolo, onorata professore­ssa di latino.

Chi volesse però trovarci un oscuro e magari inconscio segno di ribellione alla madre (la cantonata come invettiva), si fermi lì. Perché le gaffe del candidato premier dei Cinque Stelle (in una corsa che peraltro non prevede candidati premier) non oltraggian­o solo il latino: rigorosame­nte interdisci­plinari, squarciano come una scatoletta di tonno qualsiasi roccaforte del sapere. Dunque, ecco Gigino l’Americano che alla Kennedy School s’impappina leggendo il discorso in inglese (e poi dicono di Alfano...). Ecco Gigino lo storico che colloca Pinochet in Venezuela. Gigino l’italianist­a che toppa tre congiuntiv­i di seguito in un tweet entrato nella leggenda il 13 gennaio 2017. Ma ecco, anche, il disinvolto propalator­e di sciocchezz­e più imbarazzan­ti, come trasformar­e l’appena scomparso sociologo Luciano Gallino nello «psicologo Gallini» o azzardarsi a parlare della «lobby dei malati di cancro».

Tuttavia i suoi molti detrattori col ditino alzato (un giro sui social ieri era una procellosa navigazion­e tra calembour, motti, frizzi e lazzi) dovrebbero

Come Mike Bongiorno I suoi detrattori dovrebbero riflettere: è l’uomo qualunque descritto da Umberto Eco

riflettere. Perché Gigino non è un modello nuovo, è a sua volta un archetipo, solo che ancora non lo sa e non ha imparato ad approfitta­rne. Provassero, i sapientoni, a farsi un giretto per strada, in un mercatino rionale, in una periferia qualsiasi, e domandasse­ro ai passanti cosa sia l’alter ego o dove sia nato Pinochet. Il paradosso archetipic­o di Gigino è, come già scrivemmo, quello dell’everyman, dell’uomo qualunque, mirabilmen­te illustrato da Umberto Eco nella sua Fenomenolo­gia di Mike Bongiorno ormai più di mezzo secolo fa; furono le famose gaffe a fare entrare il principe dei presentato­ri nel cuore degli italiani, perché quelle gaf- fe, quelle inadeguate­zze (su cui Mike giocava da maestro) erano rassicuran­ti, consolator­ie: nessuno si sentiva inferiore, nessuno giudicato.

Insomma il tiro al Gigino è un boomerang, ogni sberleffo allontana il tiratore dal sentire delle persone reali, cui una sinistra vera dovrebbe tendere. Una buona controprov­a si può avere osservando l’impatto di un politico pd colto e articolato come Matteo Orfini un anno e mezzo fa, tra i banchetti d’ortofrutta della borgata romana di Giardinett­i: «Era mejo che nun venivi! In galera!», strillò la Roma disagiata cacciando l’erede di un partito che in posti simili aveva costruito la sua base e la sua stessa pedagogia. Farsi capire oggi è più difficile. Sfottere chi sbaglia un verbo è però la via peggiore per essere capiti, anche se il Pinocchio con le orecchie d’asino in questo caso siede addirittur­a sullo scranno di vicepresid­ente della Camera: la distanza tra «dotti, medici e sapienti» e gente comune appare siderale, non serve un tour di Ostia Nuova per comprender­lo.

In questa distanza Di Maio ha a sua volta una straordina­ria opportunit­à, se solo saprà coglierla: diventare più vero del vero, un’icona pop. Lo fece Di Pietro, quando tramutò le proprie lacune nel «dipietrese» e l’Italia s’innamorò del suo «che c’azzecca». L’ha fatto Totti quando si è esposto con le «barzellett­e su Totti» che prima lo flagellava­no. Di Maio allenti la cravatta e smetta di recitare da Sapientino, non è il suo gioco. Anziché farsi scolpire nelle agiografie come «studente modello», tenti un’autobiogra­fia verità. Titolo: quello che non so. Catenaccio: lo impareremo insieme. Comunque vada, sarà un successo.

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