IL SUL PIAVE AUTONOMIA O SECESSIONE?
LEONE VENETO
Caro Aldo, leggo sul Corriere del 13 novembre (pag. 19, molestie alle donne nel mondo dello spettacolo) questa frase detta da Dario Argento nel corso di un popolare programma Rai: «Asia non esce più di casa per paura di agenti israeliani, perché questa è gente che spara, è gente che minaccia, sono persone pericolosissime (…) Asia teme per la propria vita e per quella dei suoi figli». La ragione che ha provocato questa dichiarazione di panico è che il molestatore denunciato da Asia Argento, Harvey Weinstein, noto produttore di Hollywood, è ebreo. E da ebreo ha certo messo in moto la vendetta dei servizi israeliani, pronti a dare la caccia a chiunque, nel mondo, tocchi un ebreo. È il complotto rivelato, con l’efficacia dimostrata dalla storia e dalla Shoah, da Adolf Hitler nel suo libro Mein Kamp. E, prima di lui, dai celebri e falsi Protocolli dei Savi di Sion. Dopo l’adesivo di Anna Frank, ecco un altro episodio di antisemitismo grave e gratuito. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
Zaia si è commosso nel vedere sventolare sul Piave la bandiera del Leone di San Marco invece del tricolore. L’Italia è un grande Paese, non ancora una grande comunità. La pretesa veneta di accaparrarsi la vittoria dopo Caporetto è un imbroglio. A combattere c’era pure mio nonno che detestava chi la guerra l’aveva voluta. La mancanza della bandiera italiana nei luoghi simbolici costituisce un insulto alla memoria di giorni decisivi. Mio nonno cadde sul Grappa. Adoro il Veneto e credo nelle autonomie; credo meno che le classi dirigenti locali siano meglio di quelle nazionali.
Cari lettori,
La bandiera con il Leone di San Marco ha secoli di storia, è un simbolo dell’identità italiana ed europea. Se sventola accanto al tricolore italiano, indica l’attaccamento al territorio, al dialetto, alla cultura locale, che è una ricchezza; il bello di essere italiani è essere diversi gli uni dagli altri; anche perché il legame con la piccola patria (nel caso del Veneto neanche tanto piccola) non è incompatibile con il legame che ci unisce alla patria comune, l’Italia. Se però il Leone sventola da solo, e del tricolore non c’è traccia, allora non è un simbolo di autonomia, ma di separatismo. E sul Piave, come sul Grappa, tricolori non ne ho visti; a parte quelli «istituzionali» dei sacrari. Ho visto solo vessilli veneti. Non legati specificamente al ricordo della Grande Guerra; semmai alla propaganda per il referendum «Trieste: Amerigo Vespucci con sfondo di nave da crociera». Immagine di Roberto Orlandi. (Inviate le foto, ovviamente scattate da voi, a questi indirizzi: lettere@corriere.it e su Instagram @corriere) voluto dalla Lega, e più in genere all’orgoglio localista.
Non so dirvi se il Veneto sia una Catalogna in potenza, o semplicemente una regione dalla forte identità che si sente trascurata da Roma (dopo essere stata sostenuta dallo Stato centrale quando era povera). Di sicuro la questione veneta esiste. Le infrastrutture ad esempio sono rimaste indietro, il traffico è terrificante, il cantiere della Pedemontana langue, servono investimenti. Inoltre l’Italia è attesa da una stagione di grandi cambiamenti. Le prossime elezioni saranno interlocutorie. Vincerà di misura il centrodestra, ma forse non riuscirà a governare da solo; in tal caso la coalizione potrebbe dividersi, e la Lega rivendicare la guida dell’opposizione. Allora ne vedremmo delle belle, o delle brutte.
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