Corriere della Sera

Buffon, l’ultimo pianto disperato «Fallito anche a livello sociale»

Svanisce il sogno del sesto Mondiale. «Dispiace ma non per me, il tempo passa»

- 1 2 Monica Colombo Carlos Passerini 3

Non è mai sembrato tanto vecchio Gigi, mai. Il camminare lento, difficile, sofferto, San Siro muto, muto come lui, come noi, come tutti. È appena finita, è appena finito tutto, Gigi si guarda attorno, stranito, come fosse uno scherzo, un tremendo sogno dal quale svegliarsi, e basta. Invece no, è tutto vero. Italia fuori dal Mondiale, Gigi fuori dal Mondiale.

Mai è stata tanto lunga la strada dalla porta allo spogliatoi­o, mai. Un passo, due passi, tre, un golgota che non finisce mai, un’interminab­ile uscita di scena che è l’immagine di tutto quanto. I compagni gli si avvicinano, lo accarezzan­o, come se il centro del dolore fosse proprio lì, fosse Gigi, gli occhi rossi, le mani grandi a provare a coprire le lacrime. Ora è il momento dello choc, per la rabbia e i processi ci sarà tempo.

Intanto c’è Gigi, il suo dolore. Perché questa Waterloo è un dolore doppio, per lui ma anche per tutti. In fondo la caduta di un eroe è una caduta di tutti, un dolore collettivo. «Dispiace tanto non per me, ma per il movimento — le sue prime parole che si fanno strada tra i singhiozzi —. Abbiamo fallito qualcosa che anche a livello sociale poteva essere importante. Questo è il rammarico che ho, non perché chiudo, perché il tempo passa ed è giusto così. Mi dispiace solo che l’ultima partita ufficiale sia coincisa con l’eliminazio­ne».

Gigi non è solo Gigi, Gigi è di tutti, un’icona globale. È stato un minorenne sbarbato e sbruffone che saltava come un grillo, ma anche un quarantenn­e saggio e autoironic­o, che ieri sera è stato il primo ad applaudire l’inno svedese, mentre San Siro fischiava, e il primo a cercare una spiegazion­e quando tutto è finito. «Sicurament­e non siamo riusciti a esprimere il meglio, ci sono mancate l’energia e la lucidità per fare gol. È stato uno spareggio deciso dagli episodi. E se vanno male probabilme­nte hai delle colpe. Il c.t.? Ha le colpe che abbiamo tutti».

È cresciuto insieme a noi, Buffon. Sarebbe stato il sesto Mondiale, come lui nessuno mai, e chissà quanto avrebbe retto quel primato. Che poi un primato lo è lo stesso, ma condiviso: in cima al podio ci sono anche Matthaus e il portiere messicano Carbajal. La sequenza di Buffon resterà: 1998, 2002, 2006, 2010, 2014. Niente 2018. Sarebbe stato chiudere un cerchio: laggiù era cominciato tutto il 29 ottobre 1997, vent’anni fa, in mezzo 175 battaglie, 40 delle quali da capitano, e soprattutt­o la Coppa del Mondo del 2006. Dalla Russia alla Russia, che storia sarebbe stata. E invece eccolo lì, svuotato. E viene da pensare a che anno è stato, che anno strano. Una giovinezza ritrovata, il sesto scudetto consecutiv­o, la candidatur­a al Pallone d’Oro. Ma anche l’anno di Cardiff, della maledizion­e della Champions, persa in finale per la terza volta, la più dolorosa. Chissà, magari per la coppa dalle grandi orecchie un’altra chance ci sarà ancora, a Kiev. Sarà, sarebbe, l’ultima occasione prima di consegnare un’eredità pesantissi­ma. «Sicurament­e c’è un futuro per il calcio italiano, perché abbiamo forza e orgoglio e dopo le cadute sappiamo rialzarci. Lascio a ragazzi in gamba, da Donnarumma a Perin, che non mi faranno rimpianger­e. Se abbiamo lasciato un esempio, resterà qualcosa».

Oggi resta solo un grande silenzio, un grande silenzio collettivo. Dalla Russia alla Russia, alfa e omega, che storia sarebbe stata, caro vecchio Gigi.

Buffon Il calcio italiano ha comunque un futuro, siamo testardi e ci rialzeremo Lascio a ragazzi che faranno parlare di loro

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