Corriere della Sera

Il ribelle De Rossi «Che entro a fare?»

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La nostra Waterloo ha il volto squadrato e fradicio di lacrime di Belotti che esce dal campo con la maglia sul viso, è nelle mani in tasca di Ventura che mentre lo stadio gli urla addosso tutta la propria rabbia abbraccia Buffon, è nell’attacco isterico di De Rossi in panchina quando gli chiedono di andarsi a scaldare («Ma che entro io, dovemo vincere non pareggià...», risponde rabbioso il gialloross­o), è nell’orgogliosa incredulit­à dei 73 mila che non si capacitano, che cantano l’inno di Mameli a 8 minuti dalla fine, che non se ne vanno nemmeno quando è tutto finito da un po’, e al terzo anello si sentono solo gli svedesi.

Milano è come sotto choc, muta, inerme. È successo davvero, l’incubo s’è avverato, sessant’anni dopo stiamo di nuovo a casa. Noi, quelli dei quattro Mondiali, quelli di Pablito e Cannavaro, di Meazza e Pertini, di Rivera e Schillaci, di Zoff e Del Piero, noi quelli che quando abbiamo le spalle al muro siamo i più forti di tutti. E invece stavolta con le spalle al muro ci siamo rimasti, sessant’anni dopo.

Ci ha creduto San Siro, ci ha creduto eccome, fino alla fine, sostenendo gli azzurri per tutti e novanta i minuti, anche quando all’inizio sembrava che non ci fossero storie, che fossimo destinati a mollare ancora prima di cominciare.

Ci ha creduto quando Candreva ha calciato un destro terrifican­te finito alto di un niente, quando Florenzi ha squadernat­o una mezza volée uscita di tanto così, ci ha creduto anche quando l’arbitro spagnolo Lahoz sbagliava da una parte e dall’altra.

Ci ha creduto fino alla fine è cambiato: un’occasione splendida nel primo tempo, la deviazione di tacco inconscia di Olsen.

E non è cambiato nulla nemmeno con dentro El Sharaawy e Bernardesc­hi. La colpa non è tutta lì davanti, chiaro, non può esserlo, ma qualcosa significa se dalla Spagna in poi non siamo mai stati in grado di segnare almeno due gol a partita, malgrado avversari modesti. Come questa Svezia, appunto. Tre le reti segnate nelle ultime sei partite, una miseria eloquente. Certo, non può essere tutta lì davanti la colpa, infatti non lo è, ma una verità antica del calcio dice che se non segni non vinci. In un’intervista al Corriere,

La protesta Il caso del gialloross­o che c’è rimasto male per essere stato messo da parte

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