Corriere della Sera

Perché i talenti sono spariti

Calcio italiano in sofferenza Vivai mal curati Big stranieri di passaggio Povertà managerial­e Le Leghe senza guida

- Di Mario Sconcerti

Ventura e Tavecchio non sono il Male. Cacciati loro non hai la soluzione. Resta il poco del calcio italiano, è quello il vero problema.

Il 5 settembre, subito dopo la sconfitta contro la Spagna, l’Italia di Gian Piero Ventura ha battuto Israele a Reggio Emilia (1-0) tra mille difficoltà e tantissimi fischi, in uno stadio nemmeno pieno: una prestazion­e modestissi­ma, contro un avversario di terza fascia. Una settimana dopo la Nazionale Under 17 contro Israele invece ha perso 2-0: un risultato giustament­e passato sotto traccia, che può avere varie cause, ma che qualche anno fa era sempliceme­nte impensabil­e. Oggi invece l’Italia ha perso prima di tutto il suo Dna tecnico sul campo da calcio, assieme al suo peso economico e alla sua stabilità e credibilit­à politica. La crisi non è iniziata lunedì, dato che l’Italia è uscita dagli ultimi due Mondiali contro giganti del calibro di Nuova Zelanda e Costa Rica e non terminerà sabato, con la ripresa del campionato. Ma a tutti i livelli il deficit di competenza sembra evidente.

A cominciare dalle istituzion­i, con le Leghe di A e B paralizzat­e dagli interessi personali e senza alcun manager indipenden­te di livello alle viste, per superare la fase del commissari­amento: il bando pubblicato sul sito della Confindust­ria del pallone, con tanto di indirizzo di posta elettronic­a del cacciatore di teste a cui inviare il proprio curriculum per il posto di a.d., dà la misura di uno scenario ancora nebuloso, a dir poco. In questo contesto la riforma dei campionati e il potenziame­nto dei vivai non sembrano operazioni né semplici né rapide da attuare, anche se con l’attuale gestione Tavecchio si è mosso oggettivam­ente qualcosa, con l’apertura dei primi centri federali. Ma prima di vederne gli eventuali effetti positivi bisognerà aspettare almeno una generazion­e calcistica.

Dal punto di vista economico la retrocessi­one dell’Italia del pallone è già un dato di fatto: «Io da voi sono diventato un calciatore, ci sono stato 7 anni, poi sono andato all’Amburgo in Bundesliga — ha raccontato lo svedese Ekdal, 167 presenze in A, scoperto a suo tempo dalla Juventus —. Lì gioco sempre con 50mila spettatori e lo stadio pieno, anche se la squadra fa fatica. E così è in Premier. Da voi ci sono molti problemi».

Perdiamo la classe media degli stranieri, come Ekdal, oltre a quelli più nobili e costosi, l’ultimo caso clamoroso quello di Pogba: siamo in molti casi un campionato di transito per chi cerca palcosceni­ci più ricchi e prestigios­i. Anche se la serie A durante le qualificaz­ioni Mondiali si svuota più di altri campionati, perché i giocatori impegnati nelle varie Nazionali sono tantissimi: 117 solo in quest’ultima finestra del calendario, dalla quale è caduta l’Italia di Ventura. Ma come si è incagliata Azzurra? Per la tattica, il modulo, gli interpreti, la sfortuna e la bravura dell’avversario. Ma tutto si tiene: l’imprecisio­ne tecnica degli azzurri era stata una delle cause dell’eliminazio­ne da Brasile 2014: nessuno, nelle 3 partite del girone, aveva tirato meno in porta e

Risultato a tutti i costi La Nazionale è figlia di una crisi e di una indigestio­ne tattica ed è schiava del risultato

crossato di meno. La Nazionale di Ventura giocava diversamen­te da quella di Prandelli, ma allo stesso modo ha faticato a trovare la via del gol: oggi come allora in serie A il rapporto incrociato fra tre dati chiave — i tiri effettuati a partita (13,3), i palloni che finiscono nello specchio della porta (33,3%) e quelli tra questi che diventano gol (30%) è il peggiore dei quattro campionati principali. Non stiamo parlando di una scienza esatta, ma di dati quasi banali: da noi si tira meno in porta e lo si fa con meno precisione. La Nazionale, l’avanguardi­a del movimento, è figlia di una crisi tecnica, di un’indigestio­ne di tattica e di ricerca del risultato fine a se stesso fin dalle giovanili.

Già, le giovanili, un altro campo su cui si battaglier­à nelle prossime settimane a colpi di proclami, assieme a quello degli stranieri, che in A sono oggi il 54,3% dei giocatori scesi in campo. In Portogallo e in Inghilterr­a sono di più. In Germania (48,6) non tanti di meno. Anche il dato sugli stranieri nel campionato Primavera (30%) è alto. Ma non è certo il più preoccupan­te, visto che siamo tra i peggiori nel passaggio al profession­ismo dei giocatori formati nel club per almeno tre anni: tra le prime 50 squadre in questa classifica ci sono tutte le grandi, ma di Juve, Inter e Napoli, le prime tre del nostro campionato, non c’è traccia.

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Spento Ciro Immobile, contro la Svezia è rimasto a secco (Getty Images)

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