La suggestione Buffon
Per adesso resta una suggestione, un domani chissà
Una carriera azzurra che potrebbe non finire con le lacrime di San Siro. Tra le ipotesi su chi sarà il futuro ct della Nazionale c’è anche la suggestione Buffon. Magari con un passaggio come vice accanto a un mister più esperto.
Non può finire così. Con quella frase detta ai compagni e scolpita nello spogliatoio di San Siro nel «discorso» di addio alla Nazionale: «Ricordatevi l’importanza della maglia azzurra». Con quelle lacrime irrefrenabili da eterno ragazzo brizzolato sul prato di San Siro, con quella capacità unica di emozionarsi e di emozionare. Di essere leader (vedi il gesto contro i fischi all’inno svedese) ma anche di mettere a nudo la propria umanità. E di lasciare la sensazione forte che «quel tempo tiranno», che lo costringe a chiudere con la Nazionale, non sia per nulla passato invano. E pazienza se il record solitario del sesto Mondiale non arriverà.
Tutto questo patrimonio — chiamato Gigi Buffon — non può disperdersi così, in una notte triste e definitiva come quella di un lunedì di metà novembre. La Juventus se lo tiene stretto fino a giugno e forte dello straordinario rapporto col presidente Andrea Agnelli può garantire al suo portiere e capitano un apprendistato unico in Italia. Fuori o dentro al campo.
Ma il richiamo della maglia azzurra è altrettanto forte e tocca corde profonde, quelle del bambino che c’è dentro di lui. Quanto conti la maglia azzurra, Buffon lo ha detto a voce alta nello spogliatoio ai suoi fratelli minori, che perdono una guida. E lo ha dimostrato in vent’anni di amore incondizionato, di gioie uniche e di delusioni violente. Un giocatore commosso all’inno, com’era Gigi prima della gara con la Svezia, raramente si è visto su questi schermi. E il pianto a dirotto di fine partita ha confermato l’unicità di Buffon, che è stato il solo a metterci subito la faccia, ben prima del commisc.t., sario tecnico, per non parlare del presidente federale.
Ma Buffon, che quasi sempre ha riempito di contenuti le conferenze stampa della vigilia (arrivando a citare perfino Piero Gobetti) e anche l’esercizio retorico della zona mista dove i compagni passano a testa bassa pure quando vincono, ha un futuro in Nazionale? Da ieri per i bookmaker c’è anche il suo nome tra i possibili assieme a Totti e Del Piero, oltre ovviamente ai nomi più gettonati. La quota è molto alta (se giochi 1 euro ne puoi vincere 100...), perché ovviamente Buffon fino a fine stagione è ancora il numero 1 della Juventus. Ma è stato lo stesso Gigi un anno fa a rispondere senza tentennamenti alla domanda: «Sai già cosa fare da grande?». «Certo. Il c.t.» disse al Corriere, quando la gestione Ventura era già iniziata. Sei mesi prima, quando l’allenatore della Nazionale era Antonio Conte, alla rivista francese So Foot, Buffon aveva detto: «Farei il c.t., ma di Nazionali come Stati Uniti o Cina» dove lo hanno preceduto amici e colleghi come Pirlo, Cannavaro o Lippi.
È interessante, senza volerci ricamare troppo sopra, come sei mesi dopo Gigi non abbia più citato due giganti dai piedi d’argilla nel calcio, ma abbia argomentato così: «Il campo è la parte più bella, ti regala emozioni che danno senso alla vita. Un ruolo di allenatore con la sua quotidianità non mi piacerebbe. Un ruolo da c.t. invece non lo escluderei a priori: mi rimarrebbero le emozioni del campo, ma anche un po’ di libertà per dedicarmi ad altre cose».
Tra «non escludere a priori» e invocare «Buffon c.t.» il passo è tutto fuorché breve. Ma pensare tra un anno a Gigi come vice di un allenatore più esperto di campo (e meno di azzurro) o magari come team manager alla Riva o alla Oriali è qualcosa di diverso. Una suggestione, certo. Ma credibile. O forse soprattutto necessaria. Per riempire il vuoto che lascerà il miglior portiere della storia. E anche quello creato dal fallimento della Nazionale.