Yusuf e le vite perdute nei centri di detenzione così simili ai Lager
Fu un attimo: «Portatemi con voi!». Yusuf Ignace saltò sulla nostra macchina, approfittando d’un momento di distrazione delle guardie: «Vengo con voi, meglio tornare a fare lo schiavo!». Centro di detenzione per migranti di Sikka, maggio scorso. Alla fine della nostra visita, nel naso l’odore del letame e negli occhi l’orrore di quel bestiame umano stipato al buio e nelle feci, Yusuf il nigerino fu rapido ad aggrapparsi alla portiera e deciso a non staccarsene più: «Vi prego…». Nel gennaio 2016 l’avevano venduto come lavatutto a un bar di Tripoli, paga zero e cibo poco di più. E quando il barista libico s’era stufato, con una scusa («finalmente avrai i documenti per andare in Italia») l’aveva portato in questo campo, recitando la parte del ligio cittadino e consegnandolo alle guardie: «È
Rinchiusi al buio L’ora d’aria seduti in cortile e la doccia collettiva e la fila per il pasto ci sono solo quando arriva una delegazione dell’Onu
un clandestino, dovete tenerlo qui». Yusuf non immaginava ci fosse qualcosa di peggio del deserto che aveva attraversato dal Niger o dello scantinato che aveva abitato a Tripoli. Qualche mese lì dentro ed era disposto a tutto. Anche a tornare dal barista, pur d’uscire da Sikka… Nei campi gestiti dal governo Serraj, dove mandiamo i migranti pescati nel Mediterraneo, l’ora d’aria seduti in cortile e la doccia collettiva e la fila per il pasto ci sono solo quando arriva una delegazione dell’Onu a visitare o qualche giornalista a filmare. In quelli delle milizie, i peggiori, il problema neanche si pone: non ti fanno entrare. I migranti che vagano per la Libia sono quattro volte più di quanto dichiarato, merce buona per qualsiasi schiavitù. Quanti siano i reclusi, non lo sa nessuno. Un bambino su due viene normalmente stuprato, accusa l’Unicef, tre su quattro sono regolarmente picchiati. Inutile dire degli adulti (e soprattutto delle adulte). Avverti i libici che prima o poi dovranno spiegare che cosa succede? La risposta è arrogante: «Non può certo venire a darci lezioni l’Onu che prende le stecche in tutto il mondo!...». Chiamiamoli pure i nuovi lager, dichiariamoli pure gli schiavi moderni. Ma più che i rapporti e le denunce, servono macchine per caricare di corsa gli Yusuf Ignace e portarli via. Un giorno, non potremo dire che non sapevamo.