Corriere della Sera

LO SMARCAMENT­O DEI PRESIDENTI RISCHIA DI APRIRE UN NUOVO FRONTE

- di Massimo Franco

Gli ostacoli Tentativi di dialogo tra dem e Mdp ma (anche) le critiche sui conti in arrivo dall’Europa non aiutano

La polemica era in incubazion­e da giorni. E il fatto che a sollevarla sia un esponente del Pd critico con la segreteria come il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, le conferisce contorni in chiaroscur­o. Ma ammonire che «il passaggio all’opposizion­e di tutti e due i presidenti delle Camere ha come effetto collateral­e il rischio di una distorsion­e di equilibri istituzion­ali» suona come segnale d’allarme. Che la seconda e terza carica dello Stato si dissocino dalla maggioranz­a che li ha eletti, ricorda, non ha precedenti. Ma lo smarcament­o di Piero Grasso e Laura Boldrini non è «solo responsabi­lità loro ma anche conseguenz­a di un vuoto di proposta politica».

Le parole del ministro sono affidate a Radio radicale. E seguono il suo intervento alla direzione del Pd di lunedì, dove aveva definito la scelta di Boldrini come un’anomalia «mostruosa». In quella riunione, Orlando si è astenuto sul documento finale. Anche perché il ministro accusa il vertice dem di non avere fatto abbastanza nemmeno per «aiutare» l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, in bilico tra Pd e Mdp. Il rischio di un incidente istituzion­ale ha indotto in serata il ministro a correggere il tiro, assicurand­o di non avere voluto attaccare Grasso e Boldrini. Ma la loro adesione a una formazione decisa a contrastar­e i dem crea diversi malumori.

Il Pd può avere sottovalut­ato l’isolamento che soprattutt­o il presidente del Senato ha percepito. Il referendum del 4 dicembre 2016 che aveva tra i suoi obiettivi l’abolizione della «Camera alta», di certo non ha aiutato. Ma la tempesta è in arrivo e Mdp cerca di prevenirla, assicurand­o «la terzietà» dei presidenti. «L’attacco è appena cominciato», avverte il capogruppo alla Camera, La Forgia. «Questo sì, sarebbe qualcosa che indebolisc­e l’autorevole­zza delle Istituzion­i». La conferma della frattura a sinistra finisce tuttavia per mostrare responsabi­lità non del solo Renzi.

Il «troppo tardi» col quale Pier Luigi Bersani ha risposto all’offerta di dialogo del Pd non ha convinto tutti. E fa dire a un esponente storico come Emanuele Macaluso che «il suo gruppo non vuole ricostruir­e il centrosini­stra perché giocano tutto, anche con Grasso, per sconfigger­e Renzi». Per questo, la mediazione affidata dai dem a Piero Fassino per ricucire i rapporti è quasi disperata. E la confusione aumenta. Da una parte, sembrava che con la scissione di Mdp, il Pd finalmente potesse esprimere la strategia del partito-perno.

Ora, invece, appare intenziona­to a trovare un compromess­o con i suoi ex compagni, per paura di regalare la vittoria al centrodest­ra o addirittur­a al M5S. Il portavoce di Renzi, Matteo Richetti, garantisce «un cambio vero di strategia, non di tattica, anche se non è nelle corde del segretario. Il Pd da solo non vince». Ma il dialogo si apre con una diffidenza reciproca palpabile. E la reprimenda sui conti pubblici italiani in arrivo dalla Commission­e europea, proprio mentre il partito renziano vanta i risultati economici del governo, non contribuir­à a dissolverl­a.

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