I calciatori oriundi e il miracolo svizzero
Caro Aldo, sono andata a Torino con mio marito che è invalido. Non avendo trovato un posto libero per disabili, ho parcheggiato sulle strisce blu, esponendo il regolare permesso disabili. Al ritorno abbiamo trovato una multa. Abbiamo scoperto che a Torino, unica città in Italia, anche i disabili pagano sulle righe blu a meno che non abbiano precedentemente registrato la targa e il permesso presso i vigili. Può Torino farsi un regolamento proprio senza rispettare una norma europea?
Maria Rita de Feo, Roma Cara Maria Rita, lei ha ragione, ma l’ingiustizia peggiore la infliggono i falsi invalidi che usano auto con il permesso per disabili. A Roma ce ne sono migliaia.
Esultano, al di là di Chiasso. Non solo per l’esclusione dell’Italia, cugina non amatissima, dai prossimi Mondiali ma perché in Russia ci andranno loro, gli eredi di Guglielmo Tell. Auguri. C’è un dettaglio, però, più importante della sospirata qualificazione conquistata l’altra sera a Basilea con uno 0-0 con l’Irlanda del Nord grazie a un salvataggio sulla linea dell’eroe della giornata, Ricardo Rodriguez. «San Ricardo ci porta in Russia», ha titolato un giornale. E giù elogi al centrocampista del Milan, lo svizzero oggi più amato dagli svizzeri. Nato a Zurigo e cresciuto nello Zurigo ma senza una goccia di sangue svizzero: papà spagnolo, mamma cilena: con lo «jus sanguinis» la maglietta rossocrociata non avrebbe potuto indossarla mai. Così come sono «stranieri» altri giocatori del gruppo guidato dal più straniero di tutti, Vladimir Petkovic, che parla otto lingue (compreso l’italiano, esercitato allenando la Lazio) e ha tre cittadinanze: quella croata (ius sanguinis), quella bosniaca (ius soli) e quella della Confederazione elvetica, dove si trasferì trent’anni fa e dove è stato naturalizzato. Certo, nella formazione di Basilea c’erano domenica sera anche degli «svizzeri-svizzeri», per dirla coi fanatici nazionalisti. Come lo juventino Stephan Lichtsteiner. Ma il giovane talento Manuel Akanji, nato a Wiesendangen nel Canton Zurigo, è di origine nigeriana. Denis Zakaria è cresciuto nel Servette Football Club Genève 1890 ma è nato a Kinshasa, l’ex Léopoldville capitale del Congo. Granit Xhaka è nato a Basilea ma da genitori kosovari. Come Xherdan Shaqiri che in Kosovo (a Gjilan) è addirittura nato. Blerim Džemaili, che gli italiani conoscono bene perché ha giocato nel Torino, nel Napoli, nel Bologna, è invece un macedone della minoranza kosovara, nato a Tetovo quando la città era jugoslava. E come lui Admir Mehmedi, nato a Gostivar, che da Tetovo dista una mezzoretta di macchina. Haris Seferovic è nato sì a Sursee, nel Canton Lucerna, ma la sua famiglia è di Sanski Most, in Bosnia. Il giovanissimo Breel-Donald Embolo, infine, è nato a Yaoundé, in Camerun. Totale, con Rodriguez, nove «stranieri». Su 14 scesi in campo, sostituzioni comprese. Il tutto in uno dei Paesi storicamente più ostili agli immigrati e ripetutamente chiamato alle urne in referendum segnati dalla xenofobia. Due dei quali, promossi da James Schwarzenbach a cavallo tra gli anni 60 e i 70, contro gli immigrati italiani. Non sempre nel calcio, come si è visto a San Siro, i miracoli succedono. Ma a volte sì.
Troppi falsi invalidi con permessi per disabili