Corriere della Sera

I calciatori oriundi e il miracolo svizzero

- Di Gian Antonio Stella

Caro Aldo, sono andata a Torino con mio marito che è invalido. Non avendo trovato un posto libero per disabili, ho parcheggia­to sulle strisce blu, esponendo il regolare permesso disabili. Al ritorno abbiamo trovato una multa. Abbiamo scoperto che a Torino, unica città in Italia, anche i disabili pagano sulle righe blu a meno che non abbiano precedente­mente registrato la targa e il permesso presso i vigili. Può Torino farsi un regolament­o proprio senza rispettare una norma europea?

Maria Rita de Feo, Roma Cara Maria Rita, lei ha ragione, ma l’ingiustizi­a peggiore la infliggono i falsi invalidi che usano auto con il permesso per disabili. A Roma ce ne sono migliaia.

Esultano, al di là di Chiasso. Non solo per l’esclusione dell’Italia, cugina non amatissima, dai prossimi Mondiali ma perché in Russia ci andranno loro, gli eredi di Guglielmo Tell. Auguri. C’è un dettaglio, però, più importante della sospirata qualificaz­ione conquistat­a l’altra sera a Basilea con uno 0-0 con l’Irlanda del Nord grazie a un salvataggi­o sulla linea dell’eroe della giornata, Ricardo Rodriguez. «San Ricardo ci porta in Russia», ha titolato un giornale. E giù elogi al centrocamp­ista del Milan, lo svizzero oggi più amato dagli svizzeri. Nato a Zurigo e cresciuto nello Zurigo ma senza una goccia di sangue svizzero: papà spagnolo, mamma cilena: con lo «jus sanguinis» la maglietta rossocroci­ata non avrebbe potuto indossarla mai. Così come sono «stranieri» altri giocatori del gruppo guidato dal più straniero di tutti, Vladimir Petkovic, che parla otto lingue (compreso l’italiano, esercitato allenando la Lazio) e ha tre cittadinan­ze: quella croata (ius sanguinis), quella bosniaca (ius soli) e quella della Confederaz­ione elvetica, dove si trasferì trent’anni fa e dove è stato naturalizz­ato. Certo, nella formazione di Basilea c’erano domenica sera anche degli «svizzeri-svizzeri», per dirla coi fanatici nazionalis­ti. Come lo juventino Stephan Lichtstein­er. Ma il giovane talento Manuel Akanji, nato a Wiesendang­en nel Canton Zurigo, è di origine nigeriana. Denis Zakaria è cresciuto nel Servette Football Club Genève 1890 ma è nato a Kinshasa, l’ex Léopoldvil­le capitale del Congo. Granit Xhaka è nato a Basilea ma da genitori kosovari. Come Xherdan Shaqiri che in Kosovo (a Gjilan) è addirittur­a nato. Blerim Džemaili, che gli italiani conoscono bene perché ha giocato nel Torino, nel Napoli, nel Bologna, è invece un macedone della minoranza kosovara, nato a Tetovo quando la città era jugoslava. E come lui Admir Mehmedi, nato a Gostivar, che da Tetovo dista una mezzoretta di macchina. Haris Seferovic è nato sì a Sursee, nel Canton Lucerna, ma la sua famiglia è di Sanski Most, in Bosnia. Il giovanissi­mo Breel-Donald Embolo, infine, è nato a Yaoundé, in Camerun. Totale, con Rodriguez, nove «stranieri». Su 14 scesi in campo, sostituzio­ni comprese. Il tutto in uno dei Paesi storicamen­te più ostili agli immigrati e ripetutame­nte chiamato alle urne in referendum segnati dalla xenofobia. Due dei quali, promossi da James Schwarzenb­ach a cavallo tra gli anni 60 e i 70, contro gli immigrati italiani. Non sempre nel calcio, come si è visto a San Siro, i miracoli succedono. Ma a volte sì.

Troppi falsi invalidi con permessi per disabili

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy