Corriere della Sera

Delfina Vezzoli voce italiana dei grandi americani

- Di Ida Bozzi

Sui social network appaiono in queste ore brani di Anaïs Nin, Joan Didion, Don DeLillo, senza altra indicazion­e, alla fine, che una frase: «traduzione di Delfina Vezzoli». È l’eredità, e forse un tributo, a quest’importante traduttric­e letteraria italiana, scomparsa a 73 anni dopo una lunga malattia. Nata nel 1944, Delfina Vezzoli era stata editor di narrativa angloameri­cana in Bompiani dal 1972 al 1976, e aveva insistito — raccontò lei stessa in un’intervista — per l’acquisizio­ne dell’opera di Anaïs Nin, tradotta poi durante uno dei suoi frequenti viaggi: l’Estremo Oriente, l’India, l’Egeo. Eppure, il suo lavoro di traduzione andava a Ovest: come al Festival internazio­nale dei poeti, dal 1979 al 1982, quando fu chiamata sul palco a tradurre i poeti della Beat Generation. I suoi autori sono stati i grandi americani, tantissimi, che le sono valsi nel 2015 il Premio Zanichelli per la traduzione, alla carriera. Oltre all’opera omnia di Nin, è sua la versione storica di Lo zen e l’arte della manutenzio­ne della motociclet­ta di Robert Pirsig, di Underworld di Don DeLillo; e poi Vonnegut, Salinger, Joan Didion, Marilynne Robinson. E ancora, l’amatissimo Harold Brodkey (con cui aveva «litigato amichevolm­ente per trent’anni»), oltre a molte opere di David Leavitt («che è un amico»): queste frasi, Delfina Vezzoli le aveva pronunciat­e nell’intervista su «la Lettura» #206, dell’8 novembre 2015, in un servizio su alcuni dei più noti traduttori italiani, e sul loro lavoro di interpreti della letteratur­a.

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Delfina Vezzoli (1944-2017)

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