Corriere della Sera

UN ESECUTIVO ACCERCHIAT­O DALL’EUROPA E DALLE ELEZIONI

- Di Massimo Franco

Il premier rivendica il lavoro fatto. Con una punta di orgoglio, Paolo Gentiloni afferma che «non siamo più il fanalino di coda dell’Europa». E il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, registra l’attesa di crescita all’1,5 per cento e ne deduce che anche il debito pubblico sia destinato a diminuire. Eppure, entrambi sanno che il rapporto con la Commission­e Ue continuerà a essere non facile. Le parole crude del vicepresid­ente Jyrki Katainen secondo il quale «tutti possono vedere dai numeri che la situazione in Italia non sta migliorand­o», confermano una diffidenza ai confini del pregiudizi­o: diffidenza che la campagna elettorale può accentuare.

La legge di Bilancio per il 2018 non offre garanzie sufficient­i. Viene letta come l’ennesimo tentativo di rinviare la soluzione dei problemi. E il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, dà ragione alla Ue, sostenendo che la sinistra «ha messo in campo una manovra con delle regalie per avere consensi elettorali. Ma non favorisce la crescita...». Il risultato è che l’intero schieramen­to delle forze politiche trasmette un’immagine poco rassicuran­te. Senza volerlo, si alimenta a livello internazio­nale l’idea che in Italia stia prevalendo una maggioranz­a euroscetti­ca.

Tra voglia di rivedere i trattati, ambiguità sul futuro dell’euro, e cori a favore dello sfondament­o del tetto di spesa chiesto dalle istituzion­i di Bruxelles, il messaggio è ambiguo. L’aspirante premier del M5S, Luigi Di Maio, può anche dichiarare di avere rimosso «i pregiudizi contro il Movimento» nel suo breve viaggio negli Usa; e proclamare: «Siamo forza di governo». In realtà, le preoccupaz­ioni sull’Italia rimangono. E non solo perché il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, dà voce ai timori delle cancelleri­e per una vittoria dei seguaci di Beppe Grillo.

Lo scetticism­o nasce dall’incertezza sulla possibilit­à di fare emergere dalle elezioni un esecutivo stabile e affidabile. Lo stesso ripiegamen­to della sinistra, gli ammiccamen­ti a chi vuole provvedime­nti più «popolari», nutrono la narrativa nordeurope­a di una nazione in bilico. Il centrodest­ra rivendica moderazion­e e competenza. E assicura di avere ammorbidit­o la Lega Nord; ma anche lì le contraddiz­ioni sono in agguato. Il dialogo con i Cinque Stelle, che Matteo Salvini rilancia a intermitte­nza, viene visto come un tentativo maldestro di competere sul loro stesso terreno. Come minimo, si può notare uno scarto tra le assicurazi­oni che vengono date, e promesse elettorali­stiche tali da prefigurar­e nuove tensioni con l’Unione Europea.

Il governo Gentiloni è stretto tra queste pulsioni. E si ritrova nella situazione scomoda di chi persegue un programma di ricucitura e legittimaz­ione presso gli alleati. Ma deve fare i conti con un panorama partitico che tende a contraddir­lo, con polemiche segnate dall’ossessione di perdere consensi alle urne. Il risultato è di proiettare un’immagine confusa di quanto sta avvenendo, e soprattutt­o di quello che potrà accadere. Col rischio che alla fine siano i mercati finanziari, non l’Europa, a sanzionare l’Italia.

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