Corriere della Sera

Il mercante d’arte e la latitanza del boss «Era lui a finanziare Messina Denaro»

I pentiti: «I clan progettava­no il furto del Satiro»

- Giovanni Bianconi

Ci sono trame mafiose giunte al finanziame­nto della latitanza di Matteo Messina Denaro, dietro il maxi sequestro dei beni subito ieri dal mercante d’arte Gianfranco Becchina, settantott­enne nato a Castelvetr­ano come l’imprendibi­le Matteo, emigrato in Svizzera dove ha intrapreso una lucrosa attività legata ai reperti archeologi­ci e poi rientrato in Sicilia. Sempre sospettato di collusioni con Cosa nostra e altri gruppi criminali nonostante archiviazi­oni, assoluzion­i e prescrizio­ni, la Procura di Palermo è tornata alla carica sulla base delle dichiarazi­oni di pentiti che lo dipingono «ricettator­e di reperti archeologi­ci trafugati per conto della famiglia mafiosa dei Messina Denaro»; di qui la richiesta di misura di prevenzion­e concessa dal tribunale di Trapani. Tra i beni sigillati anche un’ala del duecentesc­o palazzo ducale Pignatelli Aragona di Castelvetr­ano, costruito per ospitare Federico II di Svevia e oggi dimora di Becchina, dove ieri mattina s’è sviluppato un improvviso e misterioso incendio proprio durante l’operazione condotta dalla Direzione investigat­iva antimafia.

Storie vecchie di venti o trent’anni fa, che evocano anche la presunta trattativa fra lo Stato e la mafia fino ad arrivare alle buste di soldi consegnate dallo stesso Becchina e destinate al ricercato Matteo Messina Denaro. L’ha raccontato Giuseppe Grigoli, già titolare di supermerca­ti considerat­o un prestanome del latitante, non pentito ma semplice «dichiarant­e» che ha svelato di aver ricevuto dal mercante d’arte quei finanziame­nti da lui stesso consegnati al cognato di Matteo, Vincenzo Panicola: «È venuta questa persona che doveva dare queste cose, e lui, avendo paura di incontrare a Panicola, mi ha detto: gliele fai avere. Era Gianfranco Becchina... Veniva non ricordo se ogni anno, o otto, nove o dieci mesi, non lo so... Però dai biglietti c’era scritto “anno X”, per dire, “2005, 2006, 2004”...». Poi Grigoli ha aggiunto un nome, tenuto segreto dai magistrati: «Mi disse “quello che porta questo signore va a Matteo Messina Denaro”». Le buste di Becchina potevano contenere, secondo Grigoli, tra 80.000 e 100.000 euro, a volte in tagli talmente piccoli che il cognato del latitante aveva difficoltà a nasconderl­e nel giubbotto.

Il mercante d’arte ha sempre negato di avere a che fare con traffici illegali, ma i pubblici ministeri di Palermo titolari dell’indagine — il procurator­e Franco Lo Voi, l’aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Geri Ferrara — ritengono che possa esserci lui anche dietro l’idea di rubare il Satiro danzante, preziosa scultura greca ripescata nel 1998 nel Canale di Sicilia. Un’operazione svelata dal pentito Mariano Concetto, mafioso di Marsala, il quale «sapeva che Cosa nostra, e segnatamen­te Matteo Messina Denaro, si occupava di traffico di reperti archeologi­ci potendo contare su appoggi in Svizzera». Sostiene Concetto: «Mi fu dato l’incarico di formare una squadra affinché potessimo sottrarre il Satiro danzante, perché ci era stato detto che aveva un valore commercial­e non indifferen­te... Venni a sapere, che l’ordine partiva da Matteo Messina Denaro». E un altro pentito, Angelo Siino, ha raccontato di aver sentito dire che il padre di Matteo, Francesco Messina Denaro, capomafia morto latitante, «ebbe a trattare la questione del famoso Efebo selinuntin­o», una statua di bronzo risalente al 400 a. C. rubata a Castelvetr­ano nel 1962 e recuperata a Foligno nel ‘68; secondo Siino, dentro Cosa nostra si diceva che «Messina Denaro avesse fatto un accordo prendendos­i un sacco di soldi».

L’esecutore della strage di Capaci, Giovanni Brusca, ricorda di aver chiesto a Mattero Messina Denaro, «su suggerimen­to di Riina, di metterlo in contatto con un trafficant­e d’arte in grado di procurargl­i un reperto di grande valore da proporre come merce di scambio con lo Stato per far ottenere benefici carcerari ad alcuni detenuti»; le opere d’arte sono state più volte oggetto della trattativa Stato-mafia, e i pm ricordano l’interessam­ento di Becchina, «inquadrato in accordi che “io ho fatto con i signori carabinier­i”», al recupero della Triade capitolina , altra scultura di valore rubata nel ‘92 e ritrovata nel ‘94: «Riporta alla mente la strategia che voleva seguire Brusca, proponendo lo scambio per migliori condizioni carcerarie».

 ??  ?? A Mazara del Vallo Il Satiro danzante è datato tra il IV e il II secolo a.C.
A Mazara del Vallo Il Satiro danzante è datato tra il IV e il II secolo a.C.
 ??  ?? Il boss e il mercante A sinistra il latitante Matteo Messina Denaro, 55 anni, a fianco Gianfranco Becchina, 78, mercante d’arte
Il boss e il mercante A sinistra il latitante Matteo Messina Denaro, 55 anni, a fianco Gianfranco Becchina, 78, mercante d’arte
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