Corriere della Sera

Rifiuti, giacigli, vite nascoste I sottopassi al centro di Roma

A terra il sangue di Norma. Il clochard: laggiù non dormo, ho paura

- di Goffredo Buccini

«Get Fit», stai in forma, suggerisce il logo sulla borsa da palestra blu, appartenut­a al mondo di sopra che bada alla linea e adesso morta tra cose morte qua sotto. Il sangue di Norma Maria la brasiliana s’è allargato tutt’attorno: una macchia appena più scura, rappresa in fondo alle scale. Escrementi, fazzoletti­ni, un lucidalabb­ra, lampi di luce che crescono risalendo rampa dopo rampa, batticuore e tanfo di urina che scemano. I fari delle macchine rompono il buio nel sottovia, al solito. La scena del delitto, ultimo orrore del sottosuolo di Roma, è spalancata, entra e esce chi vuole dai cancelli aperti davanti alle mura Aureliane e sotto le nostre vite normali.

Massimo dice che lui non ci entrerebbe «manco pagato». Giubbotto consunto da aviatore, occhi lucidi. Sta accampato da dodici anni qualche centinaio di metri oltre, tra i cespugli sotto le mura: come un vecchio orso, vabbè, ma vivo e vegeto, «mica so’ matto a dormire giù! Là ti tagliano la gola. Le guardie arrivano solo quando sei crepato». Quattro sottopassa­ggi si aprono nei marciapied­i da Castro Pretorio a piazza Fiume, altri quattro fino a via Veneto e al galoppatoi­o di villa Borghese. Dovrebbero essere percorsi di fuga per gli automobili­sti della sottovia, sono porte girevoli dell’hotel paura: nel centro di Roma.

Quei «non luoghi»

Lo studioso di migrazioni di massa Michel Agier ha descritto bene i «non luoghi» di chi viaggia non per scelta ma per fuga e, dunque, senza una destinazio­ne precisa se non la salvezza. Quei «non luoghi», come le nostre stazioni o appunto i nostri sottopassi, diventano tappa spesso definitiva dei fuggiaschi ma sono anche parte dei nostri quartieri, del nostro quotidiano rassicuran­te. Lo strappo sta qui, il vento globale ci sospinge l’orrore sotto casa, non più esorcizzab­ile: la soluzione più facile è non vedere. «Sì, è un problema di invisibili­tà e anche di isolamento sociale», spiega Augusto D’Angelo, un professore di Storia alla Sapienza che, da volontario di Sant’Egidio, ha passato la vita in questi buchi della città e delle coscienze: «Là sotto c’è pure gente di mezz’età, in prevalenza stranieri che temono i rimpatri. Robert, un mio amico ugandese da quarant’anni qui, uno che adesso dorme per strada, mi ha detto che non credeva che noi italiani diventassi­mo così cattivi».

A Roma, su ottomila senza dimora, circa duemilacin­quecento dormono all’addiaccio. Massimo s’è costruito una sua saggezza, ha imparato a ingannare il freddo leggendo, molto, di tutto. Chiede aiuto in libri più che in soldi. S’accosta e sussurra circospett­o: «Quella brasiliana non è stata la prima, sai?». Beh, quasi cinque anni fa, due somali sono morti bruciati, qui sotto... «No, no, non quelli, c’è stato un altro stupro, l'inverno passato. Lei era italiana, lui africano, lei non ha denunciato. Ma io avrei pure un testimone, rumeno, che però è sparito, non parla».

Voci incontroll­abili dal sottosuolo. Roma è una buona prova che le periferie, come luogo di «diffusione del disordine», stanno ormai anche in centro. Al Galoppatoi­o, sotto quella Villa Borghese che di notte spaventa sempre più chi l’attraversa: lì usano le vecchie cabine elettriche come armadi. A San Pietro, nella galleria Pasa, dove dorme chi di giorno trovi sotto il Colonnato. Al ponte Margherita: dove, scendendo tra i cespugli, s’intravedon­o le grate, tirate su a recintare uno spazio che non c’è, a trasformar­e in «luogo» un «non luogo». A Ponte Matteotti, nel cantiere abbandonat­o. Negli eterni anfratti di via Giolitti, alla stazione Termini, dove i colonnini di cemento non scoraggian­o tutti (almeno non quel clochard incastrato nel suo giaciglio come una sardina) e dove «tutto può succedere, in genere il peggio», biascica Amedeo, tra i denti disboscati dall’eroina.

Gli invisibili

Ma bisogna tornare sul luogo del delitto per trovare il perfetto paradosso. Da Castro Pretorio a Porta Pia fino a piazza Fiume, in quel paio di chilometri dove corso Italia tiene insieme due mondi divisi da una linea di mezzeria: di qua il bel faccione di Bisio sopra l’insegna del cinema Europa, pizzerie al taglio e sushi bar dove gli impiegati dei molti uffici di zona s’accalcano per l’apericena. Di là, dal lato delle mura Aureliane, la notte scura che non passa mai, nemmeno di giorno. Erving Goffman ha scritto che l’«inattenzio­ne civile» è l’arte di distoglier­e lo sguardo dagli estranei per non farsi coinvolger­e. Ma è molto difficile distoglier­e lo sguardo da Eva, cappotto sdrucito, sacca verde del supermerca­to Pam rigonfia di panni d’una vita intera, febbre in faccia. Potrebbe essere una nonna qualsiasi se non strisciass­e, ora, nel mondo di sotto: nel sottopasso accanto a quello della morte, due padelle e un materasso grigio in fondo al buco delle scale. «La paura? Lasciata al mio paese», dice. In realtà sembra spaventati­ssima, ma forse non mente: la paura, come la borsa da fitness, è roba del mondo di sopra.

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 ?? (foto Lannutti/LaPresse) ?? Degrado Dall’alto, tre sottopassi romani nei pressi di piazza Fiume, Villa Borghese e Corso d’Italia, luogo dell’omicidio di martedì
(foto Lannutti/LaPresse) Degrado Dall’alto, tre sottopassi romani nei pressi di piazza Fiume, Villa Borghese e Corso d’Italia, luogo dell’omicidio di martedì
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