L’INVADENZA DELLA POLITICA DANNEGGIA LA VIGILANZA
Il caso delle banche Le autorità che controllano gli istituti devono avere più poteri e più autonomia ed è pericoloso se vengono delegittimate pubblicamente
Per chi si occupa in questi giorni di banche, di regolamentazione e di vigilanza, può essere utile rileggere il bel libro di Raghuram Rajan Terremoti finanziari (Einaudi 2012). L’economista indiano — uno dei più brillanti della sua generazione (laureato al MIT di Boston, docente all’Università di Chicago e fino allo scorso anno governatore della Banca centrale indiana, non rinnovato perché in contrasto con il premier Modi) — è stato uno dei pochi a lanciare l’allarme prima della crisi del sistema finanziario internazionale del 2007-08.
L’originalità di Rajan è di spiegare come la crisi sia stata in larga parte provocata dall’insieme delle decisioni prese dai banchieri, dalle autorità monetarie, dai governi e dai clienti stessi delle banche che, seppur apparentemente razionali quando esaminate singolarmente, si sono rivelate nel complesso errate e destabilizzanti, perché basate su un sistema di regole e di incentivi perversi.
I banchieri hanno erogato credito facile, senza valutare in modo adeguato il rischio, e venduto prodotti sul mercato e ai singoli risparmiatori, senza spiegarne, né talvolta capirne del tutto, la complessità. Perché l’hanno fatto? Perché questo era il modo più facile per ottenere gli alti rendimenti pretesi dagli azionisti. «Fin quando la musica suona, bisogna ballare» diceva nel 2007 Vikram Pandit, l’amministratore delegato di Citigroup, e gli altri annuivano. D’altra parte, chi non ballava, chi non sapeva cavalcare l’onda del credito facile, veniva mandato a casa, con la colpa di non essere all’altezza dei concorrenti.
Il credito facile e i comportamenti al limite del lecito sono stati peraltro agevolati dalle condizioni finanziarie rese molto favorevoli prima della crisi, per effetto delle politiche monetare espansive, della normativa sempre più lasca e della vigilanza «leggera», soprattutto sull’altra sponda dell’Atlantico. Le autorità di vigilanza si sono trovate a far fronte ad un sistema finanziario sempre più ampio, più complesso e interconnesso,
Risanamento Vanno innanzitutto eliminati gli incentivi perversi che possono destabilizzare
con strumenti spuntati e con pressioni crescenti per favorire l’auto-regolamentazione. Le richieste di rafforzarne i mezzi e la capacità di intervento sono rimaste inascoltate.
L’originalità del lavoro di Rajan sta nel cercare di capire perché ci sia stata una generale tendenza ad agevolare una tale evoluzione del sistema finanziario. L’ipotesi — in estrema sintesi — è che di fronte alle sfide derivanti dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica, il credito bancario sia diventato uno strumento di politica economica particolarmente efficace per sostenere le categorie più in difficoltà.
In altre parole, invece di mettere in atto riforme economiche e sociali incisive, le istituzioni politiche hanno preferito adottare misure per rendere più facile (più «democratico») l’acceso al credito bancario.
I benefici di questa politica sono stati ampi e diffusi. Molte famiglie e imprese hanno ottenuto prestiti, che forse non si sarebbero potuti permettere, acquistando immobili o finanziando attività che non erano più competitive. Il sistema bancario ha continuato ad espandersi, erogando credito, generando utili, e garantendo remunerazioni elevate ai propri dirigenti. I governi hanno rimandato le politiche di riforme economiche e sociali, che avrebbero potuto mettere a rischio il loro consenso. Ma tutto ciò non era sostenibile. Il sistema è infatti imploso, provocando la più grave crisi economica del Dopoguerra. Il credito facile si è trasformato in sofferenze bancarie, perdite per gli azionisti, per i risparmiatori e per i contribuenti, e gravi conseguenze per l’economia reale.
La lezione che si può trarre da questa analisi è che, per evitare di ripetere gli stessi errori, vanno innanzitutto eliminati gli incentivi perversi che possono destabilizzare il sistema. Molto è stato fatto in questi anni, in particolare in Europa. È stata rafforzata la normativa sul governo societario delle banche, sulle remunerazioni dei banchieri, sui requisiti di capitale e di liquidità degli istituti di credito. Sono state rafforzate le autorità di vigilanza, dato loro maggior autonomia e poteri di intervento diretto sul sistema, in particolare per accelerarne il risanamento.
Questi progressi sono stati possibili perché dopo la crisi le istituzioni politiche a livello globale, in particolare nell’ambito del Gruppo dei 20, hanno riconosciuto la necessità di mantenere una maggior distanza tra la politica e il sistema creditizio e di evitare un uso improprio della regolamentazione.
Il rischio maggiore, in questa fase di consolidamento della crescita economica, è che venga invertita la rotta. Ci sono segnali preoccupanti al riguardo, in particolare quando vengono messi in atto tentativi di delegittimare pubblicamente le autorità di vigilanza, prendendole di mira come capro espiatorio per le crisi del passato, invece di dare loro i poteri necessari per contrastare con maggior efficacia i comportamenti illeciti che potrebbero ripetersi.
Oppure quando viene pubblicamente osteggiata l’azione di quelle stesse autorità di vigilanza, nazionali ed europee, mirate ad accelerare la pulizia dei bilanci e la ristrutturazione del sistema, ancora da completare.
Il rischio non è solo per la stabilità finanziaria, ma soprattutto per la credibilità del Paese.
Attenzione Bisogna scongiurare che possano ripetersi le condizioni che hanno portato alla crisi