Corriere della Sera

L’INFORMAZIO­NE È UN BENE PREZIOSO DIFENDIAMO­LA PER MIGLIORARL­A

- Di Caterina Malavenda

Qualche anno fa, con due colleghi, ho scritto un libro Le regole dei giornalist­i — Istruzioni per un mestiere pericoloso, il cui titolo, ahimè, risulta oggi quanto mai attuale.

Il pericolo evocato era ovviamente quello giudiziari­o, ma adesso è preoccupan­te quello fisico, che riguarda molti, troppi profession­isti dell’informazio­ne.

Una categoria, purtroppo, sempre più delegittim­ata, a prescinder­e dai meriti e dalle colpe dei singoli e non solo da coloro cui dà fastidio; una categoria — e questo è il problema più serio, perché alimenta gli altri — la cui funzione sociale non è più riconosciu­ta e condivisa, non è più strumento essenziale di conoscenza ed elemento fondante della democrazia.

Appare, piuttosto, a molti un inutile orpello o, peggio, uno strumento da usare e, se necessario, piegare ad interessi più o meno nobili. Ma non è tutto. L’altro giorno, un articolo mi ha colpita: la notizia, l’arresto di una persona, il cui cognome era stato omesso; a corredo una didascalia senza le generalità, posta sotto la sua foto.

Una cautela di per sé incomprens­ibile — da sempre il nome degli arrestati viene diffuso, anche per tranquilli­zzare i familiari — vanificata, in ogni caso, dalla contempora­nea divulgazio­ne dell’immagine.

Ho chiamato l’autore che, sconsolato, mi ha detto di aver avuto dagli inquirenti la foto, ma non il cognome, nonostante le sue insistenze, senza alcuna spiegazion­e plausibile, perché non ce ne sono.

La Cassazione non ha mai messo in discussion­e, infatti, che i nomi degli arrestati, al pari di quelli degli imputati e dei condannati, possano essere diffusi, essendo essenziali per un’informazio­ne completa, eppure quel nome il giornalist­a non lo avuto e la notizia è circolata sì, ma monca.

Un episodio banale, che nulla toglie alla profession­alità di chi opera sul campo, ma che la dice lunga sulla consideraz­ione di

cui gode l’informazio­ne oggi, depauperat­a com’è del suo ruolo — un cane da guardia che raramente morde — sopravanza­ta dalla convinzion­e, meramente apparente, di poter sapere subito tutto su tutto, con un clic, impoverita di risorse e ostacolata con ogni mezzo, anche legislativ­o, nella ricerca delle notizie, specie di quelle scomode.

E là dove non arriva la legge, subentrano l’ostilità preconcett­a, il diniego gratuito, norme spesso ambigue, di difficile interpreta­zione, per tutte quelle sulla privacy, che rendono più facile dir di no, tanto non costa nulla.

La ricerca delle notizie diventa così sempre più difficile, no- nostante gli sforzi, i segreti aumentano, le sanzioni anche, i muri di gomma finiscono per diventare invalicabi­li.

Ecco perché le manifestaz­ioni di solidariet­à, certo un balsamo per chi ha subìto ferite non solo fisiche, non bastano, peggio non servono.

Occorrereb­be, invece manifestar­e, finché non si riesce a ricostruir­e il rapporto di fiducia con l’opinione pubblica, sempre più convinta che non si debba più credere ai giornalist­i, stare in piazza fino a quando non sarà consentito il libero accesso alle fonti consultabi­li; e bisognereb­be tornare a cercare le notizie, senza attendere che arrivino, magari già edulcorate, perché tornino ad essere indispensa­bili.

Si capisce quanto è importante l’acqua, solo quando manca, un giorno l’informazio­ne, quella vera, potrebbe sparire e solo allora potremmo accorgerci di avere sete.

Lavoro complesso La ricerca delle notizie è diventata più difficile, i segreti aumentano, le sanzioni anche Ostilità preconcett­a Là dove non arriva la legge, subentrano il diniego gratuito e norme ambigue

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