Corriere della Sera

IL CADAVERE SOTTO L’IGNAVIA DI FRONTE AL MALE

PORTA PIA

- Rosa Maria Marconi,

Caro Aldo, a proposito del suo articolo di ieri, è vero: siamo un Paese che non sa darsi una classe dirigente. Oppure, quando se la dà, non premia i migliori. La classe dirigente che ci ritroviamo è il frutto di una selezione al contrario, che premia i peggiori invece dei migliori. Gianfranco Bossi

Lei auspica l’introduzio­ne nel campionato di calcio una quota obbligator­ia di italiani in campo. Sono d’accordo con lei, ma le normative europee lo permettera­nno?

Giorgio Perego

Non c’entrano i nostri giocatori che giocano all’estero e nemmeno il fatto che le squadre del nostro campionato sono piene di stranieri. Tutti i calciatori della Nazionale svedese militano in squadre non svedesi. Aldo Berni

Le squadre italiane devono cercare di far crescere qualche giovane giocatore italiano e non puntare sui mercenari, quelli poi giocano nelle nazionali avversarie.

Dorina Vatri

Che onta per l’Italia che ha una delle più blasonate storie di calcio giocato al mondo. Siamo stati colpiti in qualcosa che, dopo 60 anni, credevamo non potesse essere scalfito!

Damiano Serpi

Dopo la sconfitta con la Svezia, mancava solo dover assistere alla solita futile stucchevol­e polemica fra i nostri creativi primi ministri in pectore. Giorgio Tescari

Tutto lo sport italiano è in crisi. Quando si occupano a lungo posti di privilegio i ricambi sono necessari, perché il sistema diventa stagnante.

Michele Bonsanto

Credo anch’io che la lezione, se presa seriamente, possa essere utile. Però, stante l’andazzo generale, è logico dubitarne. Occorre una rivoluzion­e, anche se è poco probabile: le colpe saranno accollate alla sfortuna e a tante persone. Si cambierà parecchio, ma in modo che tutto rimanga allo stato attuale.

Piero Vittorio Molino Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

quello che è successo a Roma, in pieno centro, è terribile: una donna colpita con ferocia, il cranio fracassato, una caviglia fratturata, spogliata. Un attacco brutale, il terzo delitto nella Capitale in pochi giorni. Nessuno si è accorto di nulla, e come donne abbiamo paura. Perché nessuno si occupa di rendere queste zone sicure, come se la sicurezza fosse solo una questione di percezione e non di interventi concreti del governo e della sindaca?

Cara Rosa Maria,

IRoma

l corpo di Norma Maria Moreira da Silva è stato ritrovato nel sottopasso di Porta Pia, luogo storico dell’identità italiana, a cento metri dal ministero dei Trasporti, a 200 dai licei Tasso e Righi, a 500 da via Veneto. Quel sottopasso, costruito come uscita di sicurezza, è diventato una sorta di Tortuga, di isola dei pirati, di luogo franco dove la legge è sospesa. Quando percorrend­o la Nomentana si infila il sottopasso che conduce al Muro Torto — la via veloce aperta per le Olimpiadi del 1960 che resta il fulcro del traffico romano —, si viene investiti da una zaffata di miasmi e odori terrifican­ti (Paolo Villaggio avrebbe detto «tipo fogna di Calcutta»). È il segno che lì sotto vivono nel degrado più assoluto decine di invisibili. Poco tempo fa due clochard sono morti bruciati. Ogni tanto si trova un cadavere, come quello della donna brasiliana, in un luogo «pieno di borse svuotate di trucchi, spazzole e fazzoletti, frutto di rapine e scippi commessi in centro — come ha scritto un bravo cronista del Corriere, Rinaldo Frignani —; ce n’è addirittur­a una sportiva, con occhialett­i e pinne».

Queste zone franche non sono rare, nel centro e alla periferia della Capitale. L’illegalità chiama illegalità. Altri lettori hanno chiesto come sia possibile che nella capitale d’Italia agiscano a piede libero clan come i Casamonica e gli Spada, di cui si sa tutto, ma che non si riesce a incastrare. Si parla di loro per un funerale di pessimo gusto o l’aggression­e a un altro cronista coraggioso; per il resto, ci si rassegna. Un quadro in cui si mescolano un sistema giudiziari­o inefficien­te, una cultura diffusa della tolleranza e dell’ignavia di fronte al male, il controllo del territorio da parte dei prepotenti, la paura di denunciare da parte delle vittime. Droga e prostituzi­one sono le principali attività, che forse sono costate la vita alla donna del sottopasso. Ma il vero grande business di questi clan, fonte di denaro in nero e di potere imposto con il terrore, è l’usura: un reato che non dovrebbe esistere, in un Paese dove chi denuncia viene protetto, chi compie un reato grave sta in galera, il sistema bancario funziona e il fallimento non è un trauma ma il criterio di selezione del mercato e un modo per ripartire.

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