Corriere della Sera

Addio al rabbino Giuseppe Laras Un maestro «figlio della Shoah»

- Di Gian Guido Vecchi

«La distruzion­e degli ebrei d’Europa ha sfiorato la mia esistenza, segnandola per sempre. Misteriosa­mente, grazie alla forza e al coraggio di mia madre, il Santo e Benedetto ha voluto che sopravvive­ssi agli orrori e alle ceneri della Shoah». Rav Giuseppe Laras, scomparso ieri a 82 anni, sapeva che stava per morire: «La mia malattia sta avanzando inesorabil­mente», ha scritto nel testamento spirituale destinato agli amici. Così, negli ultimi giorni, il suo pensiero è tornato all’istante muto che ha deciso il corso della sua vita.

È stato un maestro, un’autorità in Europa e nel mondo, per venticinqu­e anni rabbino capo di Milano. L’amicizia con il cardinale Carlo Maria Martini — fece arrivare un sacchetto di terra da Israele per posarlo nella sua tomba — ha segnato forse il punto più avanzato del dialogo tra ebrei e cristiani. La vita di fede ne ha fatto uno dei massimi studiosi di filosofia ebraica, in particolar­e di Maimonide, fino al capolavoro Ricordati dei giorni del mondo (Edb, 2014), summa in due volumi di un pensiero plurimille­nario dalla Bibbia ad Hannah Arendt.

Eppure, prima di tutto questo, c’è stata quella mattina del 2 ottobre 1944, il giorno della cattura. Aveva nove anni e stava nascosto con sua madre in casa della nonna, a Torino. «Era il primo giorno di scuola, un lunedì», raccontava al «Corriere». «Una volta le scuole ricomincia­vano in ottobre». Non per gli ebrei, nell’Italia delle leggi razziali. «Dalle persiane chiuse vedevo alcuni bambini con le cartelle». Più tardi i fascisti bussarono alla porta. «Era stata la portinaia a fare la spia, pagavano cinquemila lire a ebreo».

Il rabbino Laras ne parlava di rado, la voce arrochita. «Quando ci ripenso rivivo quell’atmosfera, è come se fossi sempre stato lì. Mi si chiude la gola, mi viene da piangere». I fascisti erano due, «mia madre aveva da parte ventimila lire e trenta pacchetti di sigarette, glieli diede e disse: lasciate andare il bambino. Loro si misero tutto in tasca e ci portarono via».

Uno degli aguzzini teneva per mano il bambino nel percorso lungo via Madama Cristina verso l’Hotel Nazionale, dove aveva sede la Gestapo. Il momento che Laras avrebbe ricordato per tutta la vita fu all’incrocio con corso Vittorio Emanuele, nient’altro che uno scambio di sguardi. «L’accordo era che mi lasciasse andare, ma quell’uomo sembrava non allentare la presa. Guardai mia mamma, mi liberai con uno strattone e corsi via: fu l’ultima volta che le vidi, lei e la nonna».

Giuseppe Laras non ha mai smesso di essere quel bambino. Nel testamento si definisce «figlio della Shoah», ricorda «la commozione e l’euforia» per la nascita di Israele nel 1948, ma anche «le angosce che assalirono me, come molti altri tra noi, sino all’ora presente, in relazione alla sopravvive­nza del nostro piccolo Stato». Da allora, «nel silenzio o nella nescienza delle più grandi nazioni, abbiamo assistito alla persecuzio­ne e alla cacciata di centinaia di migliaia di ebrei dai Paesi islamici, ove molti di costoro risiedevan­o da secoli, talora ben prima dell’avvento dell’Islam».

Il tono è angosciato: «Oggi sono testimone del sorgere di una nuova ondata di antisemiti­smo, specie nella sua ambigua forma di antisionis­mo, del tradimento delle sinistre e del rapido declino intellettu­ale e morale della civiltà occidental­e. Nuove sfide e nuove angosce si stanno proiettand­o sul nostro mondo». Anche il dialogo ebraico cristiano, «se vuole continuare, deve progressiv­amente uscire dalle ambiguità su Israele».

La stessa Giornata della Memoria, celebrata il 27 gennaio, va «ripensata» rispetto «all’attualità dell’antisemiti­smo contempora­neo», alla sua complessit­à: «È necessario ricordare, anche a taluni nostri intellettu­ali e storici che contribuis­cono all’aumento dell’assordante confusione, che l’antisemiti­smo non è né una forma particolar­e di razzismo o intolleran­za, né, tantomeno, risulta confinato ai soli totalitari­smi di “destra”. L’antisemiti­smo è specifico».

Qualche anno fa, raccontava Laras, andò a vedere il lager nazista dove avevano ucciso la madre e la nonna. «Per tanto tempo non mi era riuscito. Mia figlia mi ha detto: papà, ti accompagno io. Lì ho scoperto che la mamma è morta il 29 dicembre del 1944. Di Ravensbrüc­k non è rimasto quasi niente. Lo hanno smantellat­o. Accanto c’era questo laghetto, carino, con le barche. Un contrasto che faceva male. Ma sono contento di esserci andato».

Ottobre 1944 I fascisti vennero ad arrestarli e lui fuggì nel tragitto verso la sede della Gestapo

 ??  ?? Giuseppe Laras fotografat­o nella Sinagoga di Milano, dove era stato rabbino capo dal 1980 al 2005 (foto Tamtam)
Giuseppe Laras fotografat­o nella Sinagoga di Milano, dove era stato rabbino capo dal 1980 al 2005 (foto Tamtam)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy