Le nozze in tribunale Storia (quasi) vera di cinquant’anni fa
Per capirla dovevi starci dentro. Immergerti fino al collo, affogarci l’anima. Esserci nato era solo un inizio. Per guardare la Sicilia non bastavano gli occhiali della storia o della sociologia. Dovevi indossare i suoi abiti. Che sono qualcosa di più del costume di un popolo. Il 1969, per esempio, lì era un’altra cosa. Che non veniva dopo il Sessantotto e prima dei Mondiali del ’70. E chi parla di arretratezza conosce solo la lingua del pregiudizio e del sentito dire. Fimminedda il romanzo, anzi la «storia quasi vera» di Michele Guardì (Sperling & Kupfer, pp. 200, 16,90), comincia proprio l’anno che i Beatles avevano deciso di dire basta. Non che ad Acquaviva la notizia avesse sconvolto più di tanto. Quello era un piccolo paese dove succedevano cose ben più sconvolgenti. E irreparabili. Tipo il matrimonio tra Palmina e Vincenzo. Riparatore s’intende. Lui che le fa la serenata, lei che si scioglie, ma non ha l’età. La fuitina e tutto il resto. O quasi. Manca l’happy end. L’amore, se amore c’è, è platonico davvero. Come dicono i giuristi, matrimonio rato e non consumato. Niente sesso, per semplificare. Il dramma qui diventa commedia. Lui che di cognome fa Coniglio, e qualcosa forse voleva dire, non ci sta a passare per marito inadempiente agli obblighi coniugali (e anche questo è un eufemismo). O meglio è la madre, che vive con la coppia, a riversare sulla nuora la colpa della mancanza di figli. Apriti cielo. Palmina scappa e torna a casa. Vincenzo la denuncia per abbandono del tetto coniugale. Comincia la causa. Ma un processo in Sicilia non è solo una rivendicazione di diritti negati. Una faccenda privata. No, è come se l’isola tutta fosse chiamata dentro l’aula a schierarsi di qua o di là. E la Verità non è detto che stia sempre nel mezzo. Quanto a trionfare, poi. Acquaviva partecipa, s’infervora, dibatte. Viene fuori un paese che è maschilista solo di facciata. Le vicende intime finiscono sulla pubblica piazza ma nessuno pensa sia un’intromissione indebita. Tantomeno i diretti interessati ai quali, in fondo, non dispiace finire in prima pagina nei discorsi della gente. Ci sono gli avvocati di provincia che per qualche settimana si sentono i perrymason dell’isola. Riemerge la passione per il Diritto che li aveva portati a Palermo pieni di sogni e rispediti a casa con qualche certezza in meno. Che un buon avvocato sa che non può essere mai sicuro di niente. Il tassista che diventa il depositario di verità inconfessabili che nel giro di un’ora diventano patrimonio di tutti. Il «padreparroco» che guarda dall’alto e quando si butta nella mischia assomiglia tanto a Don Camillo. Non ci sono comprimari in questa commedia umana, anche chi sta dietro ha almeno una parola importante da dire. È il 1969, ma potrebbe essere il 1169 o il 2569, certe cose non cambiano. Le leggi, magari, sì. L’animo umano, le debolezze e le virtù restano nei secoli fedeli. In Sicilia di più.
L’evento: il libro di Michele Guardi, Fimminedda, Sperling & Kupfer, sarà presentato a Roma, martedì 21 novembre (ore 18.30, Rome Cavalieri Hilton, via Alberto Cadlolo 101). Con l’autore intervengono: Pippo Baudo, Valerio Caprara, Marino Niola. Letture di Myriam Catania