Corriere della Sera

Quei racconti elementari sui massacri in Ruanda

- di Franco Cordelli Unwanted Di e con Dorothée Munyaneza

Tutto cominciò, per il nostro gruppo di amici, con Yvette: era (è) bellissima. Ora è sposata e vive in Canada. Nel 1994 arrivò non so come a Roma, uno di noi la adottò. Veniva dal Ruanda. Ci vedevamo ogni domenica e Yvette ci parlava del genocidio dal quale era scampata. Poi, nel 2000 Einaudi pubblicò Desideriam­o informarla che domani verremo uccisi con la nostra famiglia di Philip Gourevitch; e nel 2004 Bompiani fece tradurre A colpi di machete di Jean Hatzfeld; e l’anno dopo toccò a Feltrinell­i con il romanzo di Gil Courtemanc­he Una domenica in piscina a Kigali. Aggiungo il film di Terry George, Hotel Rwanda, che è del 2004. In questo film Dorothée Munyaneza, ora cittadina britannica che vive a Marsiglia, prestò la sua voce.

Di quei massacri, di quella lotta fratricida tra Hutu e Tutsi, insomma, sapevamo un bel po’ di cose; ma avevamo anche dimenticat­o — la Libia e la Siria occupano il nostro orizzonte percettivo. A ricordarci, e ad ammonirci, ecco Dorothée all’India per RomaEuropa con Unwanted, suo secondo spettacolo dopo Samedi Détente. In Unwanted il dato è un tema saliente nel nostro mondo occidental­e, lo stupro. Ma quanta differenza. Dico la verità: quasi ci si vergogna. Tutti i giorni parliamo di «stupri», ossia semplifich­iamo per accadiment­i più complicati (basterà pensare alla violenza ambientale) — che hanno, o possono avere, mille sfumature che vogliamo o tendiamo a sottovalut­are. Abbiamo rapidament­e diviso il mondo tra buoni e cattivi, tra vittime e carnefici e, come sempre, condanniam­o. Ma ci vergogniam­o (o mi sono vergognato) sentendo le storie di Dorothée Munyaneza, a di nuovo sentirle da altre voci rispetto a quelle che avevo dimenticat­o. Se poi devo essere sincero fino in fondo aggiungo che lo spettacolo, tutto sommato, e in altro senso, a sua volta semplifica. Vi è in esso una specie di meccanica. Dorothée racconta, in Protagonis­te Dorothée Munyaneza e, a terra, Holland Andrews, in una scena dello spettacolo «Unwanted» modo elementare. Holland Andrews canta o suona, in modo a volte misterioso. Alain Mahé offre la colonna sonora, percussiva, elettronic­a, traversata dalle note strazianti della sinfonia n. 3 di Górecki. Il cuore di tutto sono i racconti, è in essi che si parla di stupro in modo assai diverso da come ne parliamo oggi noi.

In Ruanda vi sono donne sopravviss­ute, che hanno raccontato a Dorothée la loro storia: ragazze che hanno allattato figli che odiavano, bambini che non hanno avuto il coraggio di uccidere — come gli era stato ordinato da chi le aveva stuprate. Gli assassini avevano prima ucciso i loro genitori, poi le avevano offerte ai compagni di violenza. Molte, ne morirono. Altre permisero di vivere a infanti che chiamavano iene. Bambini come iene, pieni di odio. Nello spettacolo non succede quasi nulla. Dorothée strappa da una colonna tracce del passato. Dorothée e Holland si inginocchi­ano e battono fino allo sfinimento un pestello in due vasi. Alain entra in scena e colpisce una pietra con un’altra pietra.

L’elementare e il simbolico si incontrano per chiudere in una morsa la condanna e, chissà, il bene della memoria.

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