A FIL DI RETE Vincitori e vinti
La feroce imboscata alle truppe Usa in Iraq diventa una serie tv
Raccontare la guerra, raccontare un tragico agguato, raccontare l’angoscia dei parenti. E se il racconto facesse parte della guerra? Se il racconto fosse un modo per provocarla, per esorcizzarla, per elaborare il lutto? Dai tempi dell’Iliade è così e non c’è da stupirsi se la feroce imboscata, che il 4 aprile del 2004 vide coinvolti i militari della prima divisione di cavalleria dell’esercito statunitense, è diventata nel 2007 un bestseller, The Long Road Home: A Story of War and Family, scritto dalla reporter Martha Raddatz, per anni inviata di guerra per la Abc, e ora una serie in otto episodi creati da Mikko Alanne (National Geographic, canale 403 di Sky). Protagonisti principali dell’episodio che i media americani hanno sopranominato il «Black Sunday» — uno dei momenti più cruenti e drammatici della guerra in Iraq — sono il tenente colonnello Gary Volesky (Michael Kelly), comandante di battaglione, a capo di una pericolosa operazione di salvataggio quando la prima divisione viene attaccata dai ribelli iracheni, e il capitano Troy Denomy (Jason Ritter). Ma in realtà non esiste solo lo scenario di guerra.
Il racconto di quelle terribili ore si snoda con una narrazione che sposta di continuo l’obiettivo dalle azioni di guerra in Iraq a Fort Hood, in Texas, dove i famigliari sono in angosciante attesa. Se dal punto di vista registico le scene di guerra sono di grande realismo, non di meno viene trascurato il lato psicologico: le mogli che aspettano, la preoccupazione per le notizie frammentarie, le telefonate tra Iraq e Usa, le verità nascoste.
La serialità è sempre più ansiosa di raccontare il presente, quasi fosse preoccupata di non essere anche lei in diretta, come le news, e convinta che dare una forma all’informe del quotidiano, specie se drammatico, sia una sorta di missione. E spesso ci riesce, trasformando, come sempre, la realtà in racconto.