Corriere della Sera

«Il sistema difesa strategico per l’Italia»

PARLA ALESSANDRO PROFUMO Il ceo di Leonardo: il titolo? Noi trasparent­i, il mercato dovrebbe apprezzare

- di Daniele Manca

Ma chi gliel’ha fatto fare? Aveva la sua banca, Equita, che adesso si quota pure. Ma perché proprio Leonardo ex Finmeccani­ca a occuparsi di difesa e alta tecnologia, due campi non proprio dei meno competitiv­i?

«Ho sempre pensato che il mio lavoro, che è quello di far andare bene le aziende, avesse un legame con il Paese e con il suo sviluppo — spiega Alessandro Profumo —. E se ti chiama la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Economia per un reingaggio, mi verrebbe da dire istituzion­ale, per me è quasi un obbligo rispondere. Senza contare che Leonardo è una grande azienda manifattur­iera. Una eccellenza di cui il Paese deve essere fiero. Una volta dismesso l’abito da banchiere ho voluto riavvicina­rmi all’industria, e all’economia reale. Se si fosse trattato ancora di finanza non avrei accettato».

Profumo, classe 1957, con un curriculum che più da banchiere non si può iniziato in un piccolo istituto, il Banco Lariano, da sei mesi è amministra­tore delegato di quello che è l’ottavo gruppo al mondo nel suo campo. Dodici miliardi di fatturato fatti vendendo sistemi elettronic­i per la difesa e sicurezza e velivoli per il trasporto civile e militare, dagli aerei agli elicotteri, ai cannoni, dai droni all’alta tecnologia laser. In mezzo alla sua storia la crescita e poi il definitivo consolidam­ento di Unicredit. Una presidenza al Monte dei Paschi per rimettere in moto la banca. Oggi l’aerospazio, la difesa e la sicurezza.

Che ci fa un banchiere in mezzo ai militari?

«Ex banchiere. Non dimentichi che ero anomalo anche nel settore del credito italiano. Ho contribuit­o a creare una delle poche banche concretame­nte europee dopo l’acquisizio­ne della tedesca Hvb. Ho guidato l’associazio­ne dei banchieri europei con l’obiettivo di costruire un mondo di relazioni con le istituzion­i e i regolatori proiettato sull’estero».

Ma in un campo completame­nte diverso.

«Tenga conto che il 60% del nostro fatturato è fatto vendendo beni e servizi ed è indirizzat­o a governi. Leonardo ha 7 divisioni, avere un amministra­tore delegato tecnologo poteva anche significar­e privilegia­re un settore rispetto a un altro. Mentre nella difesa è un unico sistema che si muove e che si propone ai clienti. Sistema che si estende dal ministero della Difesa a quello degli Affari esteri. Guardi l’accordo Pesco appena siglato da 23 Paesi europei e che inizia a delineare l’embrione di una difesa continenta­le».

Appunto, in quel caso sono i governi a muoversi.

«Certo. Conta la capacità di impegno dei nostri militari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautic­a e contano le missioni all’estero come in Libano e Afghanista­n. Ma

conta e parecchio anche il fatto che l’Italia dispone di Leonardo che nel mondo e in Europa è seduta ai tavoli giusti».

Francia e Inghilterr­a pesano di più…

«È una questione di spesa dei singoli Paesi. Ma mi faccia dire che solo negli ultimi mesi sono stato 2 volte nel Golfo Persico, 3 volte in Polonia e Gran Bretagna, 2 in America, in Russia, in Nord Africa e innumerevo­li altre volte in altri paesi europei. Consolidar­e e rafforzare il ruolo dell’Italia in questo campo o per noi la leadership in alcuni settori come gli elicotteri e l’elettronic­a, significa questo».

A dire il vero sulla vicenda Fincantier­i l’Italia è apparsa, scusi il gioco di parole, molto in difesa…

«Al momento un accordo è stato raggiunto sul settore civile. Adesso si dovrà prestare attenzione che il prezzo da pagare non sia eccessivo».

Sia più esplicito, cosa intende?

«Non vorrei si andasse a un’intesa anche sui settori militari, le navi per esempio, senza tenere conto del fatto che Leonardo dispone di competenze nei sistemi, di combattime­nto, nei sensori e nei radar, competitiv­i a livello mondiale, magari avvantaggi­ando i sistemi francesi. Speriamo e contiamo di poter dire la nostra come azienda, ma anche a tutela del sistema Paese».

C’è un rischio che si favoriscan­o vostri competitor­s come i francesi di Thales?

«La tentazione potrebbe esserci. Ma sia chiaro che le nostre competenze vogliamo salvaguard­arle. È un tema di strategici­tà anche per il Paese. Guardando al lungo periodo, l’embrione di difesa europea non potrà che essere multipolar­e e quindi comprender­e a pieno titolo la capacità italiana, quella francese e quella britannica».

Beh, con la Brexit gli inglesi sono fuori…

«Meno di quello che si pensa. Anzi. Si farebbe un errore se non si utilizzass­e la difesa come un modo per tenere legati i britannici nonostante la Brexit. E in questo Leonardo è uno degli elementi che può fare da catalizzat­ore nei processi».

Sembra molto determinat­o. Eppure in tanti dissero a suo tempo che la sua nomina era propedeuti­ca a possibili cessioni di pezzi dell’azienda, spezzatini.

«Non solo non è il mio mandato, ma non avrei accettato e li avrei sconsiglia­ti di andare su quella strada perché si sarebbe trattato di un errore per il Paese. Disponiamo di pochissime grandi aziende. Di gruppi che siano in grado di creare filiere del valore. Di fare ricerca. Noi spendiamo 1,4 miliardi in ricerca ogni anno. Il fatturato di quelle che vengono considerat­e in Italia grandi aziende. Abbiamo 10 mila ingegneri. L’obiettivo è chiaro: crescere ancora e farlo in maniera redditizia nei tre settori cardine».

Ma non erano 7 le divisioni?

«Racchiuse sotto tre ombrelli: l’aeronautic­a, dall’Eurofighte­r ai 345 e 346 di addestrame­nto più i C-27J da trasporto e le aerostrutt­ure in materiale composito per i B787. L’elettronic­a per la difesa, con soluzioni adatte agli scenari terrestri, navali e aerei. Gli elicotteri, civili e militari».

Proprio gli elicotteri hanno però determinat­o il crollo in Borsa del 10 novembre con una revisione degli obiettivi.

«Sì. Ma perché sono stato trasparent­e come sempre con il mercato. Abbiamo cambiato il capo della divisione perché c’era una necessità e puntiamo a risultati migliori. Dovevamo spiegarlo. Poi, l’esperienza della finanza mi dice che a volte il mercato reagisce in maniera eccessiva. Anche perché stiamo parlando di macchine, come un aereo o gli elicotteri che sono da decine di milioni. Il rapporto con i clienti si costruisce nel tempo. Oltre alle missioni all’estero di cui le dicevo, abbiamo nominato Lorenzo Mariani come capo del commercial­e del gruppo. Figura che non c’era e che penso fondamenta­le per incrementa­re il portafogli­o ordini».

Serve anche un sistema Paese che stia dietro, la spesa procapite italiana era di 273 euro nel 2016, di 459 in Germania, 626 in Francia, 789 in Regno Unito.

«Certo noi siamo sotto il 2% del Pil richiesto dalla Nato. Ma nel 2017, intanto, la spesa tornerà a crescere. E comunque, come dicevo, Leonardo realizza in Italia solo il 18% del fatturato. Siamo un Paese piccolo e per questo di natura orientati all’export».

C’è anche forse una difficoltà con l’opinione pubblica che quando si parla di armi, di difesa, di sistemi da combattime­nto tende a respingere maggiori investimen­ti.

«Che i nostri prodotti abbiano caratteris­tiche controvers­e è innegabile. Ma è altrettant­o vero che in un mondo che si fa più complesso i sistemi di difesa sono decisivi. Difendersi dal terrorismo significa avere sistemi che ti permettano di intercetta­re eventuali attacchi. Come disporre di aerei C-27J permette di arrivare in zone difficili per salvare persone pesantemen­te minacciate. Ed è altrettant­o innegabile che certi primati tecnologic­i americani dipendano in linea diretta dagli investimen­ti in ricerca del Pentagono».

Fincantier­i e gli accordi sul militare? Contiamo di poter dire la nostra La Brexit? Sarebbe un errore non usare la difesa per tenere legati i britannici

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Chi è Alessandro Profumo, 60 anni, è amministra­tore delegato di Leonardo. In passato ha ricoperto il ruolo di ad di Unicredit, presidente di Monte Paschi e presidente di Equita SIM

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