Negrelli, lo scrittore della storia
Univa il rigore dello studioso alle raffinate capacità letterarie. Trieste al centro delle sue ricerche
Ci eravamo conosciuti tra la fine delle elementari e l’inizio delle medie, in quel Giardino Pubblico di Trieste che era un minimo Far West, boschi e praterie, piccoli animali furtivi e rapaci, gare e sfide, fiori come braci nella sera. Giorgio Negrelli, mancato un anno fa, originale storico del pensiero politico e incisivo scrittore, il cui insegnamento nelle Università di Catania e di Trieste ha lasciato un segno forte.
Lui abitava dall’altra parte del Giardino, con il padre e la nonna; la madre, giovanissima militante nella Resistenza, era stata impiccata dai nazisti quando lui aveva quattro anni. Per tutta la vita ha conservato questa irreparabile perdita come una ferita nascosta, con amore e con pudore, senza permettere che essa avvelenasse la sua persona e senza lasciarsi sopraffare da alcun indiscriminato odio antitedesco.
Soltanto una volta, in un momento in cui dilagava una turpe denigrazione della Resistenza, aveva permesso di pubblicare la fotografia di sua madre lasciata appesa insieme agli altri cinquanta messi a morte — giovanissima, quasi ancora una ragazzina, tenera e sacra.
I suoi libri affrontano con imparziale rigore storico, appassionata partecipazione etico-politica e finezza di struttura temi fondamentali e — purtroppo — nuovamente di bruciante attualità, quali l’idea di Nazione e il suo rapporto con l’etnia, studiandoli in vari campi ma soprattutto in quel laboratorio che è stata la storia di Trieste, sospesa fra particolarismo municipale e appartenenza all’Impero, con il suo crogiolo di culture e nazionalità e il loro reciproco isolamento, intreccio e scontro. Di particolare spicco è l’affascinante saggio L’illuminista diffidente (1974) dedicato ad Antonio de Giuliani, geniale figura chiave della cultura triestina e in particolare del pensiero e dello sviluppo economico, con la sua visione precorritrice del primato del consumo e la malinconica consapevolezza che quest’ultimo avrebbe sconvolto l’appartata tranquillità umanistica del Comune del passato. Illuminista volto al progresso e consapevole, per parafrasare un suo titolo, della non lontana «vertigine dell’Europa», de Giuliani sembra intuire la dialettica mortale dell’Illuminismo, che promuove ma anche perverte la ragione degradandola a tecnica razionale del dominio, in una spi- rale di progresso e barbarie.
Il capolavoro di Negrelli, frutto di anni di ricerche e di scrittura, è lo splendido Manuale di storia (1989, 1997), tre ampi volumi che abbracciano — in un affresco epico che si serve degli strumenti più aggiornati di ricerca e che ha il respiro di un grande racconto — i secoli dalla caduta dell’Impero romano alla fine del Novecento, compresi gli Anni allo sbando cui è dedicato il volume del 1996, anni che continuano ancor oggi in uno sballo crescente.
Anch’egli, come molti di noi, era turbato, quasi attonito e spiazzato, dal corso che stava e sta prendendo il mondo. Il volume è stato adottato nelle scuole meno di quanto meritasse, perché la diffusione a livello scolastico ha bisogno di una grande macchina editoriale e di un vasto bacino d’utenza di studenti e dunque di futuri insegnanti, cosa che un’università come quella di Trieste non può numericamente offrire. Ma è un libro che resta, ad aiutare a capire la realtà e il suo divenire.
La cultura classica non distingueva tra storico e scrittore; Tacito, Tucidide o Livio sono entrambe le cose. Giorgio Negrelli lo è nei suoi saggi storici e anche in alcuni racconti pubblicati con discrezione e in sordina; almeno uno di essi, La seduzione, è un vero gioiello letterario. Il suo interesse e la sua intelligenza criticoletteraria emergono anche nel saggio dedicato a Canetti, quando il grande autore era ancora poco conosciuto (1978).
Ma Negrelli, proprio perché classificato — e celebrato — quale storico e studioso, non viene visto, nella banalità della schedatura e della rubrica di cui ha bisogno la comunicazione, come uno scrittore, quasi la letteratura fosse un albo professionale. Ci vedevamo spesso, una mezz’ora, la sera, a bere una birra e a dire la nostra sul mondo, ma quello che mi manca, ancora di più, è la nostra rituale gara, ogni anno, a chi faceva il primo e l’ultimo bagno di mare della stagione.