Corriere della Sera

Gli uomini piccoli nella mischia L’Italia punta sul velocista Minozzi

Ha esordito sabato scorso a 21 anni: «Sono dove sognavo di essere»

- Domenico Calcagno

Crederci Quando avevo 5 anni mi dissero: nel rugby c’è posto per tutti. Io ci ho creduto ed eccomi qua

Ci sono quelli che basta vederli per capire che andranno lontano e quelli che invece… Matteo Minozzi appartiene alla seconda categoria. Gioca a rugby e ha un fisico assolutame­nte normale: 175 centimetri per 77 chili. «Quante volte mi hanno detto ma dove vuoi andare con quel fisico lì? Ho smesso di contarle un bel po’ di tempo fa. Quando, dopo avermi “pesato”, non mi presero in Accademia ci rimasi male, ma non ho mai neppure pensato di arrendermi. A 5 anni, quando cominciai, mi raccontaro­no che il rugby è uno sport per tutti se lo sai giocare, e io ci ho creduto. Non è stato un percorso semplice il mio, ma se sono arrivato fino qua, alla maglia azzurra, qualche ragione dovevo averla».

Matteo ha 21 anni ed è un ragazzo che va di fretta, non solo quando parte in contrattac­co. Sei mesi fa giocava in Eccellenza, a Calvisano: 16 mete, 6 volte uomo del match (finale compresa). Poi la chiamata delle Zebre, il rugby pro. E sabato scorso i suoi primi sei minuti in Nazionale, contro le Figi. «Ho cambiato modo di lavorare, il gioco è più intenso, il ritmo più alto, devi essere sempre concentrat­o e curare molto la preparazio­ne fisica perché gli impatti sono durissimi. Però si tratta sempre di giocare a rugby. Pochi i sei minuti con le Figi? No, è stata una giornata fantastica, me la sono goduta tutta: in campo a cantare l’inno con Parisse e Ghiraldini, gente che guardavo quando ero bambino. Bellissimo. Le emozioni della mia prima volta le porterò con me per tutta la vita».

Il rugby che negli anni è diventato una riserva di caccia per orchi sta riscoprend­o gli uomini piccoli (meglio, normali). Gabriel Lacroix, francese, 170 cm, martedì scorso ha segnato due mete agli All Blacks, John Ford è l’apertura dell’Inghilterr­a ed è alto 1,75, Damian McKenzie, la copia di Minozzi, è l’estremo della Nuova Zelanda che ha il miglior mediano di mischia del mondo, Aaron Smith, che non arriva al metro e 70. Sono tanti e sono in aumento e sembrano avere una missione: riportare velocità e tecnica nella mischia. «Non so se noi piccoli abbiamo una missione, però spesso siamo più divertenti da vedere. Il fisico conta nel rugby, ma se non sai giocare i muscoli ti aiutano fino a un certo punto».

Lei, Giammariol­i, Licata: siete arrivati all’improvviso. «Abbiamo voglia di metterci in mostra, di giocare. Abbiamo sempre sperato di arrivare qua, ora ci siamo e sembra una favola. Alle Zebre Bradley, il tecnico, ci ha dato un’occasione e non l’abbiamo sprecata. Credo sia giusto dare spazio ai giovani italiani quando se lo meritano. Noi facciamo quello che abbiamo sempre sognato di fare, è una buona cosa dare spazio a chi sogna».

Minozzi fa parte della nuova generazion­e che il c.t. Conor O’Shea attendeva con impazienza. Giovani profession­isti che hanno seguito una strada tracciata fatta di Nazionali giovanili, accademie, rinunce. «La giornata tipo alle Zebre inizia alle 8.45 con la riunione tecnica, poi palestra e campo divisi per reparto, poi campo tutti insieme e fisioterap­ia. La tecnica

individual­e ognuno la cura a parte, io sono estremo e lavoro anche sul gioco al piede. Giorno libero il mercoledì. Al pomeriggio hai il tuo tempo. È faticoso, ma non ti toglie nulla e io non mi lamento di sicuro».

Sei minuti dalla panchina con le Figi, partenza in panca anche domani con l’Argentina. Obiettivo giocare di più e centrare un’altra vittoria? «Vediamo. L’Argentina è più forte e per vincere ad alto livello non basta giocare bene, devi essere perfetto».

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Prima volta Matteo Minozzi contro i giganti delle Figi

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