Corriere della Sera

L’aritmetica delle consultazi­oni per il governo

Salvini: Berlusconi sbaglia sulle urne a maggio

- SEGUE DALLA PRIMA Francesco Verderami

Se il risultato delle prossime elezioni non consegnerà al capo dello Stato una maggioranz­a omogenea per i due rami del Parlamento, le consultazi­oni saranno una novità assoluta, un inedito destinato a costituire un precedente: non avranno analogie con le formalità della Seconda Repubblica né con i riti della Prima, e porranno dei problemi ai partiti e al Colle.

Il primo nodo da sciogliere sarà legato alla risposta che i gruppi parlamenta­ri dovranno dare a Mattarella sulla prassi da seguire: vorranno essere consultati singolarme­nte o saliranno al Quirinale come coalizione? Se la questione non si porrà per i grillini, avrà invece una forte valenza politica per il centro-destra e il centro-sinistra, che si saranno appena presentati in alleanza davanti agli elettori. Lì si verificher­à la solidità della loro intesa. Superato lo soglio iniziale, toccherà al presidente della Repubblica stabilire a chi assegnare il compito di formare una maggioranz­a di governo. E siccome il percorso istituzion­ale viene già studiato (anche) dai partiti, nel Pd come in Forza Italia il tema ha fatto sorgere una serie di interrogat­ivi. Intanto perché la coalizione che arrivasse prima non necessaria­mente esprimereb­be il maggior gruppo parlamenta­re, ma soprattutt­o perché — come annunciano alcuni sondaggi tenuti riservati — i risultati elettorali di Camera e Senato potrebbero essere assai diversi. In tal caso, si adotterebb­ero i rapporti di forza di palazzo Madama o di Montecitor­io come base di partenza?

Non è un caso se i dirigenti democrat e quelli azzurri ricordano all’unisono che «prima delle consultazi­oni si dovrà procedere all’elezione dei presidenti di Camera e Senato»: un’intesa sulle due cariche — a scrutinio segreto — potrebbe rappresent­are il banco di prova per una maggioranz­a di governo. Potrebbe, perché non è andata così in questa legislatur­a. È vero, la legge elettorale è cambiata, ma sono anche cambiate le dimensioni dei partiti che si presentera­nno al voto.

È il tripolaris­mo, bellezza. Che nel 2013 il Porcellum riuscì a contenere, consegnand­o alla coalizione di centro-sinistra il premio di maggioranz­a alla Camera, sebbene dalle urne fosse emerso M5S come primo partito. E se il risultato fra qualche mese fosse confermato, si porrebbe un problema che quattro anni fa Napolitano risolse con un’innovazion­e alla prassi: l’allora capo dello Stato offrì a Bersani un «pre incarico» per «verificare l’esistenza di un sostegno parlamenta­re certo». Di questi tempi i costituzio­nalisti vengono sollecitat­i: i partiti più che risposte cercano rassicuraz­ioni.

La governabil­ità si gioca infatti sul filo dei numeri, al punto che in Forza Italia i futuri candidati vengono istruiti sul «mese più difficile che ci attenderà»: non quello della campagna elettorale ma quello dopo la campagna elettorale, quando «non saranno ammessi casi di coscienza» ma «servirà senso di responsabi­lità nell’interesse del Paese». Più chiaro di così... È così chiaro che ieri Salvini — sentendo odore di larghe intese — ha attaccato Berlusconi, reo di aver evocato le elezioni non più a marzo ma a maggio: «Sbaglia a regalare tempo a un governo che fa disastri».

La citazione del leader leghista aveva come bersaglio Gentiloni, dato che l’idea del Cavaliere — in caso di pareggio — sarebbe di offrire la disponibil­ità ad appoggiare una personalit­à in grado di coalizzare una maggioranz­a di governo: toccasse al Pd esprimere il nome, darebbe l’assenso a una figura di compromess­o come Gentiloni. Quanto a Renzi, il suo destino sembra lontano da palazzo Chigi. «Tienilo a mente Matteo», gli disse un anno fa il fidato Guerini: «Nella prima Repubblica la Dc ebbe molti premier ma pochi segretari». Traduzione: la stanza dei bottoni sta al partito.

Al Nazareno (come al Colle) il messaggio di Berlusconi è stato valutato come un «niet» a governi tecnici. Ma, «a parte il fatto che di uomini di compromess­o ne abbiamo tanti», i democrat non si fidano. Sono convinti che se il Cavaliere arrivasse a pochi seggi dalla maggioranz­a assoluta, farebbe come nel ’94 quando conquistò alla causa Tremonti: «Di volenteros­i è pieno il Parlamento». In caso contrario le consultazi­oni saranno un’assoluta novità. In Germania da due mesi trattano per formare un governo di larghe intese. E in Italia quanto tempo servirebbe?

Il governissi­mo In caso di incarico al Pd per un governissi­mo Berlusconi aprirebbe a Gentiloni

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