L’aritmetica delle consultazioni per il governo
Salvini: Berlusconi sbaglia sulle urne a maggio
Se il risultato delle prossime elezioni non consegnerà al capo dello Stato una maggioranza omogenea per i due rami del Parlamento, le consultazioni saranno una novità assoluta, un inedito destinato a costituire un precedente: non avranno analogie con le formalità della Seconda Repubblica né con i riti della Prima, e porranno dei problemi ai partiti e al Colle.
Il primo nodo da sciogliere sarà legato alla risposta che i gruppi parlamentari dovranno dare a Mattarella sulla prassi da seguire: vorranno essere consultati singolarmente o saliranno al Quirinale come coalizione? Se la questione non si porrà per i grillini, avrà invece una forte valenza politica per il centro-destra e il centro-sinistra, che si saranno appena presentati in alleanza davanti agli elettori. Lì si verificherà la solidità della loro intesa. Superato lo soglio iniziale, toccherà al presidente della Repubblica stabilire a chi assegnare il compito di formare una maggioranza di governo. E siccome il percorso istituzionale viene già studiato (anche) dai partiti, nel Pd come in Forza Italia il tema ha fatto sorgere una serie di interrogativi. Intanto perché la coalizione che arrivasse prima non necessariamente esprimerebbe il maggior gruppo parlamentare, ma soprattutto perché — come annunciano alcuni sondaggi tenuti riservati — i risultati elettorali di Camera e Senato potrebbero essere assai diversi. In tal caso, si adotterebbero i rapporti di forza di palazzo Madama o di Montecitorio come base di partenza?
Non è un caso se i dirigenti democrat e quelli azzurri ricordano all’unisono che «prima delle consultazioni si dovrà procedere all’elezione dei presidenti di Camera e Senato»: un’intesa sulle due cariche — a scrutinio segreto — potrebbe rappresentare il banco di prova per una maggioranza di governo. Potrebbe, perché non è andata così in questa legislatura. È vero, la legge elettorale è cambiata, ma sono anche cambiate le dimensioni dei partiti che si presenteranno al voto.
È il tripolarismo, bellezza. Che nel 2013 il Porcellum riuscì a contenere, consegnando alla coalizione di centro-sinistra il premio di maggioranza alla Camera, sebbene dalle urne fosse emerso M5S come primo partito. E se il risultato fra qualche mese fosse confermato, si porrebbe un problema che quattro anni fa Napolitano risolse con un’innovazione alla prassi: l’allora capo dello Stato offrì a Bersani un «pre incarico» per «verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo». Di questi tempi i costituzionalisti vengono sollecitati: i partiti più che risposte cercano rassicurazioni.
La governabilità si gioca infatti sul filo dei numeri, al punto che in Forza Italia i futuri candidati vengono istruiti sul «mese più difficile che ci attenderà»: non quello della campagna elettorale ma quello dopo la campagna elettorale, quando «non saranno ammessi casi di coscienza» ma «servirà senso di responsabilità nell’interesse del Paese». Più chiaro di così... È così chiaro che ieri Salvini — sentendo odore di larghe intese — ha attaccato Berlusconi, reo di aver evocato le elezioni non più a marzo ma a maggio: «Sbaglia a regalare tempo a un governo che fa disastri».
La citazione del leader leghista aveva come bersaglio Gentiloni, dato che l’idea del Cavaliere — in caso di pareggio — sarebbe di offrire la disponibilità ad appoggiare una personalità in grado di coalizzare una maggioranza di governo: toccasse al Pd esprimere il nome, darebbe l’assenso a una figura di compromesso come Gentiloni. Quanto a Renzi, il suo destino sembra lontano da palazzo Chigi. «Tienilo a mente Matteo», gli disse un anno fa il fidato Guerini: «Nella prima Repubblica la Dc ebbe molti premier ma pochi segretari». Traduzione: la stanza dei bottoni sta al partito.
Al Nazareno (come al Colle) il messaggio di Berlusconi è stato valutato come un «niet» a governi tecnici. Ma, «a parte il fatto che di uomini di compromesso ne abbiamo tanti», i democrat non si fidano. Sono convinti che se il Cavaliere arrivasse a pochi seggi dalla maggioranza assoluta, farebbe come nel ’94 quando conquistò alla causa Tremonti: «Di volenterosi è pieno il Parlamento». In caso contrario le consultazioni saranno un’assoluta novità. In Germania da due mesi trattano per formare un governo di larghe intese. E in Italia quanto tempo servirebbe?
Il governissimo In caso di incarico al Pd per un governissimo Berlusconi aprirebbe a Gentiloni