SULLA SCIA DI DE SANCTIS E MURATORI
La storiografia come filo conduttore culturale per la storia d’Italia. Questo concetto fa da sfondo al recente profilo di Storia della storiografia italiana di Giuseppe Galasso (Laterza, pagine 250, 20). Un tema mai affrontato in forma unitaria e di sintesi, lungo un tempo che dal Medioevo giunge fino a noi, che evidenzia come la nostra storiografia, sin dalle origini, abbia mostrato una sua indubbia personalità. Con una tradizione che parte da Paolo Diacono, da Liutprando di Cremona, dalle grandi figure di cronisti del maturo Medioevo, dove, come osserva l’autore, «il panorama italiano si rivela sempre parte essenziale, determinante e rivelatrice del contesto europeo, oltre che specchio (…) partecipe e coinvolgente rispetto alle vicende del Paese».
Il discorso continua su percorsi ancora più significativi che riguardano uno spazio plurisecolare, dalla filologia umanistica sino alla rivoluzione di Ludovico Antonio Muratori, grazie pure «all’attiva partecipazione e di interscambio con quanto al riguardo si faceva in Europa». I modelli storiografici si susseguono uno dopo l’altro, dalla «storia prammatica» di Giannone, al grande disegno nazionale di Francesco De Sanctis, alla storiografia economico-giuridica, al Novecento crociano, alla produzione storica fascista e ad Antonio Gramsci, con una serie infinita di riferimenti bibliografici, autori, opere che rimandano alla sterminata conoscenza dell’autore. Ma quando si approda al dopoguerra, se il tenore stilistico non muta, muta di sicuro la partecipazione personale di Galasso. Perché egli è certo fra i protagonisti di questa avventura della storiografia italiana, dagli anni Cinquanta in poi. Un protagonista consapevole perché, lo ricordava Delio Cantimori, esiste un indiscutibile dato di fatto: che «tra la storia come azione e la storia come lavoro storiografico c’è di mezzo lo storico»; o, di più: «c’è la persona e la personalità dello storico».
Nella descrizione di questo periodo, che si interrompe negli anni Novanta, la storiografia appare davvero come l’immagine più sensibile di una società in mutamento, ribollente di tematiche nuove. Le novità si respirano nell’aria. Nella nascita accademica della storia contemporanea. Nella sensibilità politica e civile degli storici italiani, dove lo scontro (e il confronto) tra le differenti ideologie giocò come indubbio fattore dialettico. Nei flussi della storia economica. Nella storia di genere. Con grandi personalità di spicco: Federico Chabod, Ovidio Capitani, Rosario Romeo, Gabriele De Rosa, Renzo De Felice, Ruggiero Romano, per citarne alcuni. Con un livello e una grandezza degli studi storici rilevantissima, «anche se da tempo la loro circolazione internazionale non li fa apparire nella posizione effettivamente meritata».
Una stagione cui ne è subentrata un’altra, di crisi della storia. Con una dissoluzione del patrimonio concettuale dovuto, è vero, all’affiorare di nuovi orizzonti epistemologici; senza dimenticare però che la crisi ha sicuri connotati sociali e politici, con un ruolo della storia sempre più carente, deprivata della funzione che ha avuto in particolare tra Otto e Novecento. Alla fine del volume, Galasso si sofferma su quali antidoti adoperare contro la crisi. Tra i diversi che propone, ne traccia uno, dalla prospettiva nuova che sa di antico: non basta concepire la storiografia «come un colloquiare o un interloquire soltanto tra storici e studiosi ma anche, se non addirittura soprattutto, come una risposta di storici e studiosi a ciò che nella vita sociale e civile, morale e culturale urge e preme come problema del presente». Un invito insomma ad aprirsi al mondo. Da non sottovalutare e rendere programmatico.