Dipinti, pagine e installazioni sotto un «cielo siderale»
L’esposizione incrocia narrazioni e rigore scientifico. Omaggio ai 18 anni che il fisico trascorse qui
L’allestimento è molto suggestivo. Niente rende meglio l’idea del siderale cielo misterioso, e del procedere a tentoni dello scienziato, dei colori lattiginosi che avvolgono il visitatore nell’avventuroso viaggio, tra la terra e il
cielo, a bordo della spettacolare mostra Rivoluzione Galileo. L’arte incontra la scienza, che apre oggi al Palazzo del Monte di Pietà di Padova. «L’astronomia non è soltanto una scienza della notte» avvisa il curatore della mostra Giovanni Carlo Federico Villa. E infatti, le luci discrete e i colori fascianti progettati dai creativi Emilio Alberti (architetto) e Mauro Zocchetta (scenografo teatrale) inclinano in questo senso: guidare lo sguardo del visitatore dall’ottuso spazio terrestre all’immagine del cosmo luminoso dove si spiega, in 12 tappe, l’appassionata storia dell’astronomia.
«Rivoluzione Galileo» è un omaggio ai 18 anni trascorsi dal grande scienziato nella città dell’Orto Botanico, dell’Università e del Teatro Anatomico, dopo aver lasciato Pisa, la città che gli diede i natali nel 1564 e che lo isolò quando mise in crisi la «verità» del sistema aristotelico-tolemaico. Galileo decise così il trasferimento all’Università di Padova. Ma chi sono gli interlocutori del genio in questa fase di tensione creativa?
Il viaggio nel tempo e nello spazio comincia con le visioni poetiche e mitologiche dei moderni ispirate a Galileo, ricordato nella poesia del Sidereus Nuncius pubblicato da Primo Levi nel 1984 in omaggio all’opera del pisano uscita nel 1610, e celebrato in un’installazione ottagonale dell’artista anglo indiano Anish Kapoor, Laboratory for a New Model of the Universe del 2017. Peso, vuoto: l’universo è scritto in lingua matematica e geometrica. Questa immagine del cosmo che cavalca le tesi eliocentriche di Copernico e Tycho Brahe ispirarono Galileo e il suo cannocchiale — esposto nella sala dedicata al cielo rivoluzionario, un esemplare a sei tiranti di Giuseppe Campani lungo otto metri (1682) — fino al momento fondante della scienza moderna, con la nuova concezione dell’Universo di Keplero e Newton (lo scienziato inglese nasce nel 1642, l’anno in cui Galileo muore, cieco e confinato nella sua villa di Arcetri, dopo la condanna della Chiesa di Roma per «veemente sospetto di eresia»).
Il percorso fra le sale è eccitante come una caccia al tesoro: da rintracciare 200 oggetti mirabili, atlanti, strumenti e modelli cosmogonici, dipinti densi di riferimenti celesti, come i cieli irreali di Rubens e Guercino, ancora in fase transitoria tra il vecchio e il nuovo, aspettando l’Ottocento che con Pellizza da Volpedo, Giacomo Balla e Gaetano Previati metterà il sole al centro che gli spetta. La mostra indaga tra le pieghe degli incestuosi rapporti fra astronomia e astrologia, e di quest’ultima con la musica, la medicina, la formazione del carattere e delle inclinazioni. Tra i tesori di valore inclassificabile: la serie degli acquerelli della Luna in diverse fasi, realizzati da Galileo «in diretta» durante l’osservazione telescopica del satellite dalla Terra nell’autunno del 1609, con tale accuratezza da combaciare perfettamente con le foto del nostro satellite riprese oggi dalla Nasa. Per la prima volta viene proposta un’immagine realistica della Luna, destinata a sconvolgere le versioni romantiche degli artisti e le credenze fumose dei filosofi della natura. E a questo punto ci spetta, in conclusione, dopo la riabilitazione di Galileo sancita dalla tela di Luigi Mussini Il trionfo della Verità (1847), il piacere di una passeggiata virtuale (Orbital Ascent, 2017), accompagnati dall’artista Michael Najjar, fotografo e astronauta tedesco, sulla superficie di quella luna che, senza Galileo non avremmo mai raggiunto.
Il curatore Giovanni C.F. Villa: «Attenzione: l’astronomia non è solo una scienza della notte». In mostra pure la Luna osservata da Galileo