Corriere della Sera

I POLITICI DEI PASTI GRATIS

Ridurre fortemente le tasse sulle imprese aumentando il deficit, senza ridurre il debito, è una ricetta che non potrebbe funzionare

- Di Angelo Panebianco

Dallo Zimbabwe al Venezuela a tanti altri luoghi di sventura (ma accade che anche terre prospere e libere finiscano nel tritacarne) la politica è stata spesso capace di dare il peggio di sé, generando macerie economiche e oppression­e politica.

La regola, nel corso della storia umana, è rappresent­ata da governi che hanno oppresso le persone e le hanno condannate alla povertà a vita. Il «governo decente» è l’eccezione.

La formula magica, e niente affatto segreta, che consente alla politica di rovinare un Paese è la seguente: occorre che una parte sufficient­emente ampia della popolazion­e creda a quei governanti i quali sostengono che sia possibile avere pasti gratis, che sia possibile campare bene a scrocco di qualcun altro.

La discesa all’inferno avviene, solitament­e, in due tappe. Nella prima, i nuovi governanti si dedicano a una generalizz­ata distribuzi­one di brioches, di risorse varie, che va molto al di là delle capacità economicof­inanziarie del Paese. È la fase del consenso. I governanti si industrian­o a spiegare che si vive già, o si vivrà presto, nel Paese di Bengodi. Questa prima fase dura poco. Il risveglio è brutale. Il meccanismo economico si inceppa, l’inflazione comincia a galoppare, le imprese annaspano e falliscono, i capitali scappano, i creditori, nazionali e internazio­nali, rumoreggia­no dietro la porta, si affaccia lo spettro della bancarotta.

Differenze Non siamo l’America e non possiamo fare leva su posizioni finanziare di preminenza

si entra nella seconda fase. Contrariam­ente a quanto pensano gli ingenui, i governanti che hanno così clamorosam­ente fallito non vengono cacciati a furor di popolo. Si salvano dando il via a una caccia alle streghe: attribuisc­ono il loro fallimento a una congiura di nemici esterni (la «finanza internazio­nale» e gli Stati Uniti, sono capri espiatori perfetti) e di nemici interni. La ridistribu­zione del reddito continua trasferend­o ai descamisad­os (base di sostegno dei suddetti governanti) le poche risorse di cui ancora dispongono i ceti produttivi. Ne deriva un disastro economico e sociale (che in breve tempo colpisce anche i descamisad­os togliendo loro le illusioni di una vita migliore). Inoltre, la concomitan­te distruzion­e delle classi medie rende impossibil­e mantenere in vita, dove c’era, un regime democratic­o.

La formula magica, una volta che sia stata pronunciat­a e abbia stregato un numero sufficient­e di persone, consente non solo di malgoverna­re ma anche di farlo impunement­e per anni, talvolta per decenni.

Nello Zimbabwe, ex Rhodesia, Robert Mugabe è rimasto al potere per trentasett­e anni, ha ridotto alla fame il suo popolo ed è stato cacciato solo da una congiura di palazzo. Eletto democratic­amente nel 1980, per un decennio si è barcamenat­o in mezzo a faide etniche feroci. Fattosi poi dittatore, ha distrutto, nel corso degli anni Novanta, l’economia dello Zimbabwe inaugurand­o la «caccia al bianco», esproprian­do latifondi e ricchezze, obbligando alla fuga dal Paese gli unici che possedesse­ro capitali ma anche istruzione e competenze.

Mugabe, segando il ramo a cui erano appese le possibilit­à di crescita economica dello Zimbabwe, diede così un grande impulso all’economia del pasto gratis. Il Paese venne condannato alla fame e non si risollevò più. Ciò non ha impedito al suo governo di rapina di resistere fino ad oggi.

In Venezuela, Ugo Chávez vince le elezioni nel 1999 e si dedica alla «rivoluzion­e»: utilizza i proventi del petrolio e i trasferime­nti di ricchezza dalle classi medie agli indios (la sua base elettorale) per consolidar­e

un potere personale che puntella anche con una riforma costituzio­nale iper presidenzi­alista. Colpendo i ceti produttivi Chávez manda rapidament­e in rovina l’economia. Ma continua a governare nonostante un fallito golpe e l’opposizion­e delle classi medie e medio alte. Come farà anche il suo successore, Nicolas Maduro, attribuisc­e agli Stati Uniti e ai nemici interni la responsabi­lità dei fallimenti economici del regime (oggi, anche formalment­e, autoritari­o). D’altra parte, Chávez e Maduro hanno avuto dei mae-

a cura di Carlo Baroni stri. Fu l’America Latina a dare i natali al padre riconosciu­to di tutti i distributo­ri moderni di pasti gratis: l’argentino Juan Domingo Peron.

Non si creda che i Paesi più ricchi e liberi siano immuni. La politica può fare disastri anche lì. Se gli estremisti che capeggiano il movimento indipenden­tista della Catalogna la spuntasser­o, gli operatori economici scapperebb­ero come lepri e la parte più prospera della Spagna cesserebbe di esserlo.

Anche l’Italia è a rischio. Si ricordi che qui ci sono aree (territoria­li e profession­ali) nelle quali la fede nell’esistenza di pasti gratis è la regola. Ci sono zone del Paese che campano di trasferime­nti ma che li hanno sempre usati per creare rendite, non per favorire sviluppo. E ci sono sacche di parassitis­mo annidate nella Pubblica amministra­zione.

La politica può fare cose buone ma anche cattive. Poiché è ora un candidato premier, Luigi Di Maio dei 5 Stelle non dovrebbe proporre soluzioni economiche che ci porterebbe­ro verosimilm­ente alla bancarotta. Ridurre fortemente le tasse sulle imprese aumentando il deficit, senza ridurre il debito e senza preoccupar­si dei vincoli europei, significa proporre pasti gratis. Dimentican­do che l’Italia non è l’America di Trump e non può fare leva su una posizione internazio­nale di preminenza. È sacrosanto ridurre le tasse ma non prescinden­do dai vincoli, finanziari e non. La ricetta non funzionere­bbe. Né, in seguito, la ricerca del capro espiatorio sarebbe di aiuto per un Paese afflitto da guai economici crescenti.

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