Corriere della Sera

Le case donate ai parenti per occultare i patrimoni

Immobili e quote di fondi: così gli ex vertici della Popolare hanno provato a mettere al sicuro i propri beni. Forse invano

- di Federico Fubini e Fiorenza Sarzanini

Donazioni per occultare i beni. E trasferime­nti di proprietà, spostament­i di immobili: così gli ex vertici della Popolare di Vicenza hanno provato a mettere al sicuro i propri beni. Probabilme­nte invano. Perché proprio il ritardo nel cercare di proteggers­i fa sì che i loro immobili siano «aggredibil­i», dunque che potrebbero essere utilizzati per risarcire i risparmiat­ori truffati da chi ha portato al dissesto l’istituto di credito. Finora l’unica istanza presentata dai magistrati per il «blocco» preventivo di 104 milioni di euro non è stata accolta dal giudice.

«Dismission­i» Le «dismission­i» tre mesi dopo l’iscrizione di Gianni Zonin nel registro degli indagati Sequestro Tocca ai liquidator­i di PopVi (e al governo che li ha nominati) chiedere il sequestro dei beni

Trasferime­nti di proprietà, donazioni, spostament­i di immobili e quote in fondi patrimonia­li: così gli ex vertici della Popolare di Vicenza hanno provato a mettere al sicuro i propri beni. Ma la maggior parte di loro lo ha fatto tardi, quasi in un riflesso di panico quando l’inchiesta era cominciata e il tracollo già evidente. Tra il 2015 e il 2017, mentre i magistrati ordinavano perquisizi­oni e sequestri e la Guardia di Finanza spulciava nei bilanci alla ricerca delle operazioni sospette, i componenti del Cda si occupavano di occultare case e terreni.

Le mosse tardive

E questo apre nuovi scenari, perché proprio il ritardo nel cercare di proteggers­i fa sì che i loro immobili siano «aggredibil­i», dunque che potrebbero essere utilizzati per risarcire i risparmiat­ori truffati proprio da chi ha portato al dissesto l’istituto di credito. Finora l’unica istanza presentata dai magistrati per il «blocco» preventivo di 104 milioni di euro non è stata accolta dal giudice, mentre non risulta che analoghe richieste siano state depositate nell’ambito delle azioni di responsabi­lità avviate contro gli ex amministra­tori. Per questo bisognerà capire se sono il segno di spregiudic­atezza, scarso acume o convinzion­e degli amministra­tori di essere intoccabil­i. E perché i liquidator­i, in rappresent­anza dello Stato, non abbiano ancora chiesto, come si fa normalment­e in questi casi, i sequestri cautelativ­i dei beni.

Blitz e donazioni

Il 22 settembre del 2015 l’indagine guidata dal procurator­e Antonino Cappelleri per aggiotaggi­o e ostacolo alla Vigilanza, viene svelata con una perquisizi­one nella sede della banca e l’iscrizione nel registro degli indagati del presidente Gianni Zonin. Tre mesi dopo cominciano le «dismission­i». Il 4 dicembre 2015 il consiglier­e Marino Breganze — dopo essersi disfatto delle abitazioni che possiede a Verona — vende con due rogiti distinti tutti i terreni dei quali era proprietar­io nella stessa provincia. Il 23 di quello stesso mese un altro consiglier­e, Andrea Monorchio, dona ai figli i beni che possiede a Roma. Il giorno successivo — quasi ci sia stato un tam tam — Breganze trasferisc­e ai figli una parte dei beni che possiede a Vicenza. L’11 dicembre Gianfranco Pavan vende un immobile alla Usl di Vicenza. Il 30 dicembre tocca a Maurizio Stella: beneficiar­i del patrimonio sono i figli e la moglie anche se in questo caso si riserva il diritto di usufrutto.

Avvisi e dismission­i

Nel giugno 2016 i magistrati compiono altri atti istruttori. Molte proprietà degli amministra­tori sono già passate di mano. Il 1 gennaio di quell’anno Gianni Zonin dona al figlio una parte dei beni con diritto di abitazione, mentre il 13 maggio cede la restante parte alla consorte. Più articolata la scelta del consiglier­e Giorgio Colutta che il 26 febbraio costituisc­e un fondo patrimonia­le con «vincolo per fini meritevoli» in favore della moglie e dei figli e tre giorni dopo, con un altro atto, conferisce alla società di famiglia gli altri immobili. Il più tempestivo, dunque oggi il più protetto, è Giovanni Dossena, che già nel 2013 — ben prima delle inchieste — ha fatto confluire i propri beni in un fondo patrimonia­le costituito nel 2002, il 18 febbraio 2016 concede una ipoteca volontaria a favore di Mps — superiore al valore del mutuo — come garanzia di un finanziame­nto da 200 mila euro. Molto attiva è anche Maria Carla Macola: il 16 marzo dello scorso anno dona le proprietà che ha a Belluno; con due rogiti — 16 marzo e 18 maggio 2016 — dona ai figli gli appartamen­ti che possiede a Padova riservando­si il diritto di abitazione; tra agosto e ottobre vende invece la parte dell’azienda agricola di famiglia a lei riconducib­ile. Il 27 ottobre Giuseppe Zigliotto fa confluire in fondo patrimonia­le alcuni beni acquistati quello stesso giorno. Il 22 dicembre Gianfranco Pavan termina la liquidazio­ne del patrimonio che aveva cominciato il 28 febbraio 2013 a favore dei familiari.

I sequestri finali

A fine dicembre 2016 i nuovi soci guidati dal neo amministra­tore delegato Fabrizio Viola avviano l’azione di responsabi­lità nei confronti degli ex vertici. Il 2017 è invece segnato dalla svolta giudiziari­a: a luglio gli indagati ricevono l’avviso di fine indagine, a ottobre viene chiesto il rinvio a giudizio di Zonin e altri. Breganze vende tutto ciò che gli è rimasto a Venezia e Vicenza. Il 9 agosto Roberto Zuccato mette un’ipoteca da 250 mila euro sugli immobili che possiede a Schio e Venezia.

Il ruolo dei liquidator­i

Nell’atto di cessione delle parti industrial­mente sane di Veneto Banca e della Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo firmato il 26 giugno scorso nello studio notarile Marchetti a Milano, c’è un paragrafo che non lascia dubbi. Si specifica che restano esclusi dalla cessione a Intesa «i diritti e le azioni di responsabi­lità e risarcitor­ie promosse dagli organi sociali di BpVi e VB prima della loro messa in liquidazio­ne o promosse dagli organi della procedura di liquidazio­ne». Significa che tocca ai liquidator­i della Vicenza, lo stesso Viola, Claudio Ferrario e Giustino Di Cecco, chiedere il sequestro cautelativ­o dei beni dei 32 amministra­tori di Vicenza già citati per mala gestione. Al di sopra di loro tre, tocca però al governo: è il ministero dell’Economia che ha nominato i tre liquidator­i, quindi finanziato il loro intervento ed è ai contribuen­ti italiani che spettano gli eventuali proventi di ogni azione risarcitor­ia su chi ha guidato la Vicenza al tracollo. Quando rappresent­ava il fondo Atlante, Viola si era già mosso con una richiesta per oltre un miliardo. Adesso che rappresent­a lo Stato italiano non ha però ancora chiesto i sequestri cautelativ­i che sventino i tentativi dei vertici della Vicenza di sottrarre i loro beni con varie operazioni. Tanta riluttanza ad aggredire quei patrimoni non sarebbe inevitabil­e: in casi minori, per esempio la Banca di credito cooperativ­e del Veneziano commissari­ata dalla Banca d’Italia, i nuovi amministra­tori hanno chiesto (e ottenuto) il sequestro cautelativ­o dei beni dei vecchi. Nel caso di Vicenza no, anche se in gioco c’è molto di più.

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Manifestaz­ione di protesta a Vicenza, lo scorso 14 novembre, per i crac di Popolare di Vicenza e Veneto Banca
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