Polveriera Libano: l’azzardo saudita
Governo e Paese stritolati dal duello Arabia-Iran La strettoia di Israele: «Pronti a ogni sviluppo»
Alla maratona di Beirut i manifesti più grandi erano dedicati a lui, in scarpe da corsa mentre si suda i chilometri attraverso la città. La foto scattata un anno fa è diventata il simbolo della festa sportiva di domenica scorsa: un’immagine per rendere visibile un’assenza. Perché i libanesi che si sono trovati in tuta e calzoncini questa volta hanno voluto anche protestare: «Ti stiamo tutti aspettando», «Rivogliamo il nostro primo ministro». Protestare contro l’Arabia Saudita (che da dodici giorni trattiene il premier Saad Hariri) e proclamare alle altre potenze mediorientali — commenta il New York Times — «ne abbiamo abbastanza delle ingerenze straniere».
Il presidente Michel Aoun, che di Hariri non è certo un sostenitore ha accusato i sauditi di averlo trattato come un «detenuto» e ha ripetuto di non essere pronto ad accettare le sue dimissioni — annunciate in televisione da Riad il 4 novembre — fino a quando non gliele presenterà di persona. L’incontro potrebbe avvenire già mercoledì prossimo. Il giorno dell’Indipendenza le bandiere biancorosse con al centro il cedro verde sventoleranno ancora di più per inneggiare a una sovranità sbrindellata dalle pressioni esterne e interne.
Questo caos dopo solo undici mesi di governo — sostengono gli analisti — sarebbe il vero obiettivo dei principi del Golfo. Da sempre sponsor di Saad, sono delusi dalla sua debolezza, da quanto poco abbia agito contro Hezbollah, che dell’Iran è il braccio armato e politico in Libano, rimpiangono la determinazione del padre Rafik: gli è costata la vita, massacrato da un’autobomba nel 2005. Il premier libanese sarebbe così diventato una pedina nello scontro tra la monarchia saudita e gli ayatollah di Teheran, tra i sunniti e gli sciiti.
Hezbollah potrebbe approfittare del disordine — sembrano sperare a Riad — per attaccare Israele, per dimostrare di essere l’unica fonte (anche militare) dell’orgoglio nazionale, gli unici a poter cancellare con gli oltre 120 mila missili nell’arsenale l’oltraggio al Paese. Perché il blocco sciita considera le ultime settimane una macchinazione orchestrata dai sauditi con gli israeliani. Una teoria del complotto ribadita da Hassan Rouhani, il presidente iraniano: «È una vergogna che una nazione musulmana implori il regime sionista di bombardare i libanesi».
I generali israeliani sono consapevoli che a questo punto un incidente sul fronte nord potrebbe trasformarsi in conflitto. Dan Shapiro, fino a gennaio ambasciatore americano a Tel Aviv, ha avvertito il governo con un commento sul quotidiano Haaretz: «Non si lasci manovrare dai sauditi in una guerra prematura, la decisione va presa al momento più giusto per combattere». Di sicuro il premier Benjamin Netanyahu non vuole permettere a Teheran di installarsi in modo permanente in Siria: le foto satellitari rivelate qualche giorno fa dalla televisione britannica Bbc mostrano la costruzione di una base militare a 50 chilometri dal confine. Il segno di una presenza che vuole essere permanente e che i russi — compari degli iraniani nel sostegno al despota siriano Bashar Assad — considerano legittima.
La minaccia sulla linea che va dal Mediterraneo alle alture del Golan per lo Stato ebraico raddoppierebbe. «Non consentiremo all’Iran di arroccarsi così vicino a noi. Il nostro esercito è pronto ad affrontare qualunque sviluppo», ha proclamato Avigdor Liberman, il ministro della Difesa, mentre visitava le truppe stazionate al nord e scrutava con il binocolo quelli che potrebbero diventare campi di battaglia.
@dafrattini
Il caos La situazione attuale, secondo gli analisti, è il vero obiettivo dei principi del Golfo Il fronte siriano Netanyahu non vuole che Teheran installi una base permanente a 50 km dal confine