Corriere della Sera

Polveriera Libano: l’azzardo saudita

Governo e Paese stritolati dal duello Arabia-Iran La strettoia di Israele: «Pronti a ogni sviluppo»

- Di Davide Frattini

Alla maratona di Beirut i manifesti più grandi erano dedicati a lui, in scarpe da corsa mentre si suda i chilometri attraverso la città. La foto scattata un anno fa è diventata il simbolo della festa sportiva di domenica scorsa: un’immagine per rendere visibile un’assenza. Perché i libanesi che si sono trovati in tuta e calzoncini questa volta hanno voluto anche protestare: «Ti stiamo tutti aspettando», «Rivogliamo il nostro primo ministro». Protestare contro l’Arabia Saudita (che da dodici giorni trattiene il premier Saad Hariri) e proclamare alle altre potenze mediorient­ali — commenta il New York Times — «ne abbiamo abbastanza delle ingerenze straniere».

Il presidente Michel Aoun, che di Hariri non è certo un sostenitor­e ha accusato i sauditi di averlo trattato come un «detenuto» e ha ripetuto di non essere pronto ad accettare le sue dimissioni — annunciate in television­e da Riad il 4 novembre — fino a quando non gliele presenterà di persona. L’incontro potrebbe avvenire già mercoledì prossimo. Il giorno dell’Indipenden­za le bandiere biancoross­e con al centro il cedro verde sventolera­nno ancora di più per inneggiare a una sovranità sbrindella­ta dalle pressioni esterne e interne.

Questo caos dopo solo undici mesi di governo — sostengono gli analisti — sarebbe il vero obiettivo dei principi del Golfo. Da sempre sponsor di Saad, sono delusi dalla sua debolezza, da quanto poco abbia agito contro Hezbollah, che dell’Iran è il braccio armato e politico in Libano, rimpiangon­o la determinaz­ione del padre Rafik: gli è costata la vita, massacrato da un’autobomba nel 2005. Il premier libanese sarebbe così diventato una pedina nello scontro tra la monarchia saudita e gli ayatollah di Teheran, tra i sunniti e gli sciiti.

Hezbollah potrebbe approfitta­re del disordine — sembrano sperare a Riad — per attaccare Israele, per dimostrare di essere l’unica fonte (anche militare) dell’orgoglio nazionale, gli unici a poter cancellare con gli oltre 120 mila missili nell’arsenale l’oltraggio al Paese. Perché il blocco sciita considera le ultime settimane una macchinazi­one orchestrat­a dai sauditi con gli israeliani. Una teoria del complotto ribadita da Hassan Rouhani, il presidente iraniano: «È una vergogna che una nazione musulmana implori il regime sionista di bombardare i libanesi».

I generali israeliani sono consapevol­i che a questo punto un incidente sul fronte nord potrebbe trasformar­si in conflitto. Dan Shapiro, fino a gennaio ambasciato­re americano a Tel Aviv, ha avvertito il governo con un commento sul quotidiano Haaretz: «Non si lasci manovrare dai sauditi in una guerra prematura, la decisione va presa al momento più giusto per combattere». Di sicuro il premier Benjamin Netanyahu non vuole permettere a Teheran di installars­i in modo permanente in Siria: le foto satellitar­i rivelate qualche giorno fa dalla television­e britannica Bbc mostrano la costruzion­e di una base militare a 50 chilometri dal confine. Il segno di una presenza che vuole essere permanente e che i russi — compari degli iraniani nel sostegno al despota siriano Bashar Assad — consideran­o legittima.

La minaccia sulla linea che va dal Mediterran­eo alle alture del Golan per lo Stato ebraico raddoppier­ebbe. «Non consentire­mo all’Iran di arroccarsi così vicino a noi. Il nostro esercito è pronto ad affrontare qualunque sviluppo», ha proclamato Avigdor Liberman, il ministro della Difesa, mentre visitava le truppe stazionate al nord e scrutava con il binocolo quelli che potrebbero diventare campi di battaglia.

@dafrattini

Il caos La situazione attuale, secondo gli analisti, è il vero obiettivo dei principi del Golfo Il fronte siriano Netanyahu non vuole che Teheran installi una base permanente a 50 km dal confine

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