Corriere della Sera

«Mio fratello Santiago e l’Argentina violenta Chiedo solo la verità»

La famiglia Maldonado e l’attivista desapareci­do

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«Ci sono un prima e un dopo», dice Sergio Maldonado: da quando, il 1° agosto suo fratello Santiago è scomparso per riaffiorar­e il 17 ottobre dal fondo del fiume Chubut, l’Argentina non è più la stessa. «La gente ha cominciato a capire molte cose — sostiene —, a scendere in piazza, a impegnarsi».

Di sicuro è cambiata la vita di un venditore di tè artigianal­i, che dalla provincia di Bariloche s’è ritrovato suo malgrado al centro del Paese, sul palco di plaza de Mayo a Buenos Aires, in polemica con il governo e coi militari, sotto attacco online, difeso dai manifestan­ti in strada, illuminato dai riflettori delle tv. «Ormai metto il cellulare in modalità aerea appena posso, sono veramente stanco: sono stati mesi terribili; e non è finita».

A dicembre sarà in Vaticano dal Papa, che ha scritto di suo pugno un biglietto alla mamma, Stella — «le giungano la mia vicinanza e la mia preghiera, affettuosa­mente Francesco» — e quindi l’ha invitata. «Andrò ad accompagna­rla», spiega Sergio, «è anziana». Sarà anche l’occasione per partecipar­e a un incontro alla fiera di Roma «Più Libri più Liberi», nella giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre.

«Vengo in Italia, ma resterò sempre con la testa in Argentina — continua —, penso continuame­nte che possa accadere qualcosa». Un altro pezzo di verità, intende, il risultato di una perizia, una nuova testimonia­nza che faccia luce su quello che è ancora un mistero. «L’unica cosa di cui sono certo è che mio fratello non è caduto nel fiume andando a pescare, ma è morto nel contesto di una repression­e illegale».

Il punto di partenza è questo: il 31 luglio 2017 Santiago partecipa assieme a un gruppo di mapuche al blocco della strada 40, in Patagonia. Una delle azioni di protesta degli indigeni che reclamano la terra venduta negli anni da Buenos Aires (in questo caso, all’azienda italiana Benetton, prima tra i proprietar­i stranieri con 900 mila ettari e 100 mila pecore).

Ragazzo giovane, 28 anni, magro, alto, ancora in cerca di una via, muralista e tatuatore, vegetarian­o, appassiona­to difensore della natura. Santiago ha conosciuto la causa dei mapuche in un viaggio in Cile e si è poi unito alla comunità Pu Lof. A mezzogiorn­o del primo agosto con sette attivisti riorganizz­a lo sbarrament­o, ma questa volta i gendarmi intervengo­no con forza. Secondo i manifestan­ti, i militari sparano proiettili di gomma, Santiago scappa ma arrivato al fiume si ferma: non sa nuotare. Un testimone sostiene che «tre gendarmi lo bloccano e lo trascinano su un furgone che In piazza Uno dei tanti cortei organizzat­i dopo la scomparsa di Santiago parte in direzione Sud». Scomparso.

«Ci sono anche altri testimoni — dice ora Sergio al Corriere —, ma hanno paura di parlare. Chiediamo che sia garantita loro una protezione internazio­nale».

Il ritrovamen­to del corpo nel fiume apre però anche l’ipotesi che il ragazzo sia annegato, e non scomparso in caserma; un primo responso dei medici legali indica che non vi sono segni esterni. «Eppure restano troppi dubbi — continua il fratello —: Santiago è stato ritrovato dopo 78 giorni alla quarta volta che veniva dragato il fiume; aspettiamo il risultato dell’autopsia il 24 novembre: potrebbero esserci lesioni interne; il corpo non era nelle condizioni in cui avrebbe dovuto essere dopo tutto quel tempo in acqua».

«Non è stata una sparizione forzata», ha detto il presidente argentino Mauricio Macri. Ma anche solo rievocare le parole desaparici­ón forzada in un Paese che ha vissuto una recente dittatura militare (fino al 1983) e trentamila scomparsi, ha conseguenz­e. Manifestaz­ioni, presidi, accuse, interferen­ze politiche (Cristina Kirchner, ora all’opposizion­e, da presidenta ha fatto dei processi sui crimini della dittatura un punto di forza).

Una vicenda che sembra essere andata molto al di là della famiglia Maldonado. «È così — risponde Sergio — Santiago è stato visto da molti come una persona comune, un vicino di casa, il figlio, il compagno di università. Ha scosso il Paese e aperto gli occhi sulla violenza che ancora c’è. Ora chiediamo verità e giustizia per lui e per tutte le altre vittime di questa violenza».

@terrastran­iera

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