Corriere della Sera

La giovane Italia graffiata dai Pumas Regge per 40 minuti ma crolla nel finale

- Domenico Calcagno

DAL NOSTRO INVIATO

Dopo 40 minuti di battaglia senza esclusione di colpi, l’Italia era avanti di un punto. E sperare di riuscire ad abbattere i Pumas dopo 9 anni non sembrava, in quel momento, un azzardo. Canna non sbagliava un calcio, gli azzurri dominavano mischia e rimesse laterali e in qualche modo erano pure riusciti a respingere un paio di offensive letali innescate da Sanchez, il miglior uomo in campo.

Appena 4’ dopo la ripresa delle ostilità, però, l’Italia perdeva la prima touche ed era quella la prima crepa, il segnale che qualcosa si stava sfaldando. Un drop di Violi poco prima dell’ora di gioco riportava avanti i nostri (15-14) per l’ultima volta. Sanchez risorpassa­va al piede al 60’ e i Pumas non si voltavano più indietro. Negli ultimi 10’ piazzavano pure due mete belle e dolorose per la giovane Italia, che si ritrovava a stringere tra le mani un altro risultato (15-31) pesante e cattivo.

L’Argentina doveva assolutame­nte vincere, perché aveva perso le ultime nove partite ma questo significav­a poco perché le sconfitte erano arrivate contro Nuova Zelanda (2 volte), Australia (2), Sudafrica (2) e Inghilterr­a (3). Lo ha fatto sfruttando le sue qualità di squadra superiore guidata da un generale, l’apertura Nicolas Sanchez, da Tucuman, un numero 10 che ha piedi, mani e visione, che sa scegliere i momenti nei quali correre e colpire. L’Italia non ha (ancora?) la maturità per gestire le varie situazioni di gioco. Difende senza tirarsi indietro, ma fatica ad azzeccare le scelte in attacco, a restare lucida. E a questo livello, soprattutt­o se sei il più debole, non puoi permettert­i di sciupare un pallone o un’occasione.

«Gli ultimi dieci minuti sono stati frustranti — argomentav­a il c.t. Conor O’Shea —, nel primo tempo non siamo stati capaci di sfruttare i momenti positivi. È su questo che dobbiamo lavorare: imparare a controllar­e le cose che dipendono da noi». Sergio Parisse, invece, garantiva che dei giovani bisogna fidarsi: «Siamo una squadra che combatte e se combatti il futuro non può essere nero. Sono orgoglioso di essere il capitano di questo gruppo e sono convinto che sabato, contro il Sudafrica, sapremo mettere sul campo tutto quello che abbiamo».

Basterà per rimandare per la seconda volta gli Springboks a gambe all’aria? Difficile. L’Argentina ha confermato che sì, l’Italia ha iniziato un nuovo percorso, ha giovani interessan­ti e cammina sulla strada giusta. A occhio, però, questa strada sembra ancora molto lunga. (Afp)

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Fermato Sergio Parisse, 34 anni, cerca di liberarsi della morsa argentina

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