Corriere della Sera

Racconti di Torino per capire l’Italia

Il dibattito sulla distanza che separa la città dei monumenti dalle sue periferie e la sfida per dar voce alle tante realtà

- Di Marco Imarisio

Negli ultimi venticinqu­e anni nessun luogo a differenza di Torino è stato così capace di reinventar­si, di passare dalle fabbriche, dalla Fabbrica, a nuova meta del turismo europeo e mondiale.

Le sassate hanno spento dodici luci su 18. Per la prima volta le installazi­oni e le opere di Luci d’Artista, l’iniziativa che in questa stagione rende Torino ancora più bella, erano arrivate alle Vallette, in piazza Montale. In una delle zone più lontane dal centro, in una di quelle periferie che spesso appaiono più lontane di quanto non siano davvero, perché mai conosciute e raccontate fino in fondo. Appena è scesa la notte, qualcuno si è preso la briga di fare il tiro al bersaglio con l’installazi­one appena inaugurata.

Accadeva pochi giorni fa. Ogni lampadina è già tornata al suo posto, ma nel suo piccolo l’eco prodotta da quell’episodio non si è ancora spenta. Perché poche città come Torino amano farsi così tante domande sulla propria identità, che poi è uno dei tanti modi possibili di amare la città dove si è nati o si vive. Qui esiste ancora uno spirito civico e civile che si traduce in dubbi e dibattiti continui sul proprio futuro, sulla direzione da prendere in quanto comunità. Non è un esercizio riservato alle élite, che pure negli ultimi venticinqu­e anni hanno avuto il merito di mettersi al servizio della trasformaz­ione della città, ma viene praticato di continuo nelle assemblee pubbliche di ogni circoscriz­ione o nei comitati di quartiere che spuntano ovunque.

Le luci subito spente di piazza Montale hanno almeno dato vita a una discussion­e anche aspra sulla distanza che separa la Torino dei monumenti e delle mostre, dalle sue periferie che spesso in questi anni si sono sentite abbandonat­e al loro destino, dove la crisi ha picchiato più duro che altrove, producendo fasce di non garantiti, di persone che si sentono escluse. Quel che ha colpito di più è stata la rassegnazi­one. C’era da aspettarse­lo, ha detto ad esempio il presidente della circoscriz­ione, come se le sassate fossero un gesto ineluttabi­le, la reazione a un regalo non richiesto e calato dall’alto, un dono superfluo quando invece manca l’essenziale.

Eppure il bello non risiede solo nell’arte, nella cultura, nelle luminarie che addobbano le strade del centro. Anni fa chi scrive venne spedito a Barriera di Milano, un’altra periferia difficile, al confine con le Vallette, per scrivere un articolo su un anziano pensionato che a forza di petizioni aveva fatto cambiare il regolament­o con il quale si vietava ai bambini di giocare a pallone nel cortile dei palazzi di edilizia popolare. Al suo funerale erano andati in centinaia, la storia era venuta fuori per questo. Il bello è anche la vita delle persone comuni e non famose, lontane dalle luci del centro e dai riflettori. Il nostro dovere è raccontare le loro difficoltà, la loro rabbia, le loro speranze.

Il Corriere della Sera apre a Torino per raccontare una città in transizion­e e i suoi abitanti, così orgogliosi del proprio passato quanto insofferen­ti a chi glielo ricorda di continuo e ansiosi sul proprio futuro. Negli ultimi venticinqu­e anni nessun luogo è stato così capace di reinventar­si, di passare dalle fabbriche, dalla Fabbrica, a nuova meta del turismo europeo e mondiale. Di cambiare nei luoghi e nella toponomast­ica, ma soprattutt­o nell’indole, nell’anima, di scoprirsi bella e fiera di mostrarsi In Piazza San Carlo Alcune «Luci d’artista», le installazi­oni che da vent’anni illuminano Torino: resteranno accese dal 27 ottobre al 18 gennaio 2018, dodici sono state rotte dai vandali come tale.

Ma la città fabbrica del Novecento in qualche modo era riuscita a garantire tutti. La Torino che ha unito manifattur­a e cultura non ha avuto la forza di fare fronte alla crisi, di evitare le disuguagli­anze. Oggi c’è bisogno di un nuovo progetto comune, di una nuova visione, che possa tenere insieme garantendo pari dignità e certezze future alla borghesia della Crocetta come agli esclusi delle Vallette o della Falchera. Se davvero esistono due città, ci piacerebbe riuscire a dare voce a entrambe. Con i fatti, senza proclami o pregiudizi, nella consapevol­ezza di essere arrivati in un luogo di grande cultura e tradizione, anche giornalist­ica. La scommessa non riguarda solo questa città. Mai come oggi è Torino, Italia.

La scommessa Il racconto di un capoluogo in transizion­e simbolo di un intero Paese

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