Corriere della Sera

Sottomarin­o nel buio, l’Argentina prega

«L’ossigeno potrebbe essere finito» Navi da mezzo mondo per cercarlo, ma dai 44 marinai nessun segnale Passati 7 giorni dalla scomparsa

- Rocco Cotroneo

Falsi allarmi, segnali nell’etere e nei sonar che non sono mai esistiti mettono a dura prova i nervi dei familiari. Si fanno ipotesi e scenari di ogni tipo. «Possono resistere ancora molti giorni», «No, sta finendo l’ossigeno». L’unica certezza finora è che il sottomarin­o ARA San Juan non si trova, non ha lasciato alcuna traccia reale da quando è sparito ed è quasi passata una settimana.

Un mistero assoluto. L’Argentina prega, a partire dal suo cittadino più illustre in Vaticano. E sono centinaia i marinai, piloti e volontari che si stanno dedicando attivament­e alla ricerca. Decine di navi e aerei sono giunti da tutto il Sudamerica, insieme ai mezzi più sofisticat­i in dotazione alla marina Usa e a quella britannica, i vicini-nemici che controllan­o le isole Falkland, scenario dell’ultima guerra in questi mari gelidi.

Come per i famosi 33 minatori cileni nel 2010, poi tutti salvati dalla tecnologia, la sorte dei 44 marinai tiene con il fiato sospeso l’Argentina. Notizie ufficiali e «fake» si alternano sui social network, i media corrono in cerca di opinioni di tecnici, militari e persino psicologi, per spiegare come si può resistere in una situazione così estrema in fondo all’oceano, o per dare un sostegno ai familiari. Poiché la Marina non ha mai diffuso la lista ufficiale dell’equipaggio, le storie personali di alcuni dei 44 sono emerse spontaneam­ente per iniziativa di parenti e amici. Molti di loro sono a Mar del Plata, la base della marina militare dove il sottomarin­o sarebbe dovuto arrivare nel suo viaggio dalla Terra del Fuoco. Attendono notizie, sperano e pregano. Qualcuno passa molte ore sulla spiaggia, scrutando l’orizzonte, sperando che l’occhio arrivi laddove la tecnologia non riesce.

Vero che i marinai di un sottomarin­o, proprio come i minatori, sono abituati a situazione estreme, ma se fosse confermata l’indicazion­e che lo scafo ha soltanto sette giorni di scorte di ossigeno — e ne sono passati sei dall’ultimo segnale arrivato a terra — la sensazione di essere prossimi all’epilogo più tragico è inevitabil­e. «Sette giorni se l’ARA San Juan non fosse mai riuscito ad emergere in superficie, per ricaricare l’ossigeno — specifican­o alla Marina — ma anche su questo non vi è alcuna certezza». Dopo i falsi segnali radio e gli impulsi sonar, ieri è stata la volta dell’avvistamen­to di presunti bagliori di razzi di emergenza. Anche in questo caso, è stato prontament­e smentito che si tratti di tracce del San Juan.

L’unica buona notizia delle ultime ore è il migliorame­nto del tempo. Finora venti forti e onde alte fino a otto metri

Parenti sulla spiaggia Le storie dei membri dell’equipaggio diffuse dalle famiglie, la marina tiene coperti i nomi

nell’Atlantico dei sud hanno reso quasi inutile il lavoro di scandaglio del fondo dell’oceano in cerca di tracce dello scafo, unica cosa che resta da fare una volta stabilito che segnali radio non ne sono arrivati. Se l’ARA San Juan fosse a galla, difatti, avrebbe potuto comunicare. Strano anche che non sia riuscito in alcun momento, nemmeno all’inizio dell’avaria, a sganciare le cosiddette Epirb, boe di emergenza che trasmetton­o sos con triangolaz­ioni satellitar­i. Si tratta di dispositiv­i con lunga autonomia e che non dipendono da un eventuale black out totale del sottomarin­o.

«Se troviamo lo scafo e sono ancora vivi, li tiriamo fuori tutti senza problemi», assicurano i tecnici americani che hanno fatto arrivare ieri una capsula di salvataggi­o la quale, attaccata a una nave appoggio, sarebbe in grado di evacuare i marinai del San Juan a sedici alla volta, a patto che la profondità non superi i 200 metri. Il problema appunto è trovare un oggetto lungo una quarantina di metri in un’area di ricerca delle dimensioni della penisola italiana. Tenendo conto che i sottomarin­i sono concepiti proprio per non essere facilmente trovati da altri mezzi.

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L’attesa Un disegno appeso al recinto della base navale di Mar del Plata, dove il sottomarin­o ARA San Juan era atteso tra domenica e lunedì. Dice: «Trovateli, li aspettiamo». Le riserve di ossigeno a bordo del mezzo dovrebbero essere in esauriment­o
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