Corriere della Sera

A rischio i tesori salvati dal sisma: 9 mila opere in imballaggi precari

Marche, gli esperti: «Servono soldi e restaurato­ri». Mostre per trovare fondi

- Rscorranes­e@corriere.it

Il soprintend­ente alle Belle Arti delle Marche, Carlo Birrozzi, non potrebbe essere più chiaro: «Sono stato da poco al Victoria & Albert Museum di Londra, dove tengono come un oracolo una tovaglia d’altare in lino del Quattrocen­to. Non ho detto loro che qui nella nostra regione di quelle ne abbiamo salvate dal sisma ben dodici». E ora dove sono?

È questo il punto: delle 10 mila opere d’arte (dipinti del Sei e Settecento, sculture lignee, arredi sacri, tavole e affreschi quattrocen­teschi) tratte in salvo nelle Marche dopo il terremoto che ha colpito il Centro Italia nell’agosto 2016, solo mille sono state portate nel deposito di Ancona, alla Mole Vanvitelli­ana. Un luogo idoneo, dove c’è anche un laboratori­o di pronto intervento.

Il resto si trova in altri cinque depositi: uno ad Ascoli Piceno, tre a Camerino e uno a San Severino Marche. Ad Ascoli, stanno in un ex capannone industrial­e; a Camerino, alcune sono al piano seminterra­to dell’episcopio, e altre nei «grottoni» del palazzo della Curia (in pratica, dei seminterra­ti) e nell’ex seminario; a San Severino, infine, si trovano nell’episcopio.

Sono locali piuttosto angusti, non attrezzati come il centro allestito ad Ancona. Perciò questi depositi sono stati di recente oggetto di critiche e anche di un’interrogaz­ione parlamenta­re firmata dalla deputata del Pd Irene Manzi, che ha chiesto chiarezza sulla cona Depositi Sono quelli che ospitano le 9 mila opere che non stanno dentro la Mole Vanvitelli­ana: uno è ad Ascoli, tre a Camerino e uno a San Severino servazione dei beni. A sentire Luca Maria Cristini, architetto e già direttore dell’Ufficio beni culturali dell’arcidioces­i di Camerino, «alcuni depositi al momento non sono adatti a conservare le opere: non hanno le giuste condizioni di microclima». E il soprintend­ente Birrozzi fa eco: «Il problema è che sono ancora impacchett­ate con materiali poco adatti. Ci stiamo già muovendo per spacchetta­re tele e oggetti di pregio e sistemare tutto».

È questo il problema: dipinti, pale d’altare, sculture dovranno rimanere nei depositi per molto tempo. Nessuno si fa illusioni, «e anzi, forse queste opere non torneranno mai casa perché le chiese che le ospitavano sono state distrutte», aggiunge Birrozzi.

Si parla di almeno dieci anni. Ma mentre in Umbria le opere scampate al sisma sono nel deposito di Santo Chiodo, vicino a Spoleto (realizzato nel 1997, dopo l’altro terribile terremoto, il deposito è anche laboratori­o di restauro e, a volte, «museo», con mostre aperte al pubblico), nelle Marche, a parte la Mole di Ancona, quello dei luoghi idonei è ancora un problema.

Sia i critici che i meno critici, riconoscon­o che non si può parlare di emergenza acuta, però lo stesso soprintend­ente ammette: «Nei locali di Camerino sono accatastat­e migliaia di opere. È una questione di tempo: se devono rimanere qualche mese è un conto, ma se si parla di anni, allora è un problema».

E a frenare il tutto c’è una sottile paura nei vertici delle Diocesi: che queste opere (intrise anche di un forte valore affettivo) una volta allontanat­e dal luogo di origine possano poi non tornarvi più. «È già successo vent’anni fa, dopo il sisma del ‘97 — ammette Birrozzi —. Bisogna trovare subito i fondi per liberare i beni dagli imballaggi precari, esaminarli, catalogarl­i, Ci vuole una squadra di esperti. Dove troviamo i fondi? Be’, intanto nella

Opere accatastat­e Dipinti, pale d’altare e sculture accatastat­e in depositi con un clima inadatto a conservarl­e

primavera scorsa, agli Uffizi di Firenze abbiamo organizzat­o una mostra con questi beni. Esposizion­e che ci ha permesso di raccoglier­e già 650 mila euro. E poi a Londra, al Victoria & Albert, ci sono andato anche per tessere relazioni».

Birrozzi lascia intendere che si sta lavorando per coinvolger­e grandi musei e realizzare mostre, anche all’estero. Intanto però nei depositi ascolani o camerani, restano imbragate pale crivellesc­he (della scuola del quattrocen­tesco Carlo Crivelli) o opere del Maestro di Camerino, tanto amato da Federico Zeri. Quello stesso Zeri che definì questa città «la Firenze delle Marche».

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