POLITICHE ATTIVE, COSÌ SI AIUTA DAVVERO CHI CERCA LAVORO
Finché si continuerà a definirle «politiche attive» non si capirà di cosa si parla. E difficile sarà arrivare a capo di qualcosa. Cominciamo allora a chiamare le cose con il loro nome: qui si tratta di trovare lavoro ai disoccupati. Dio solo sa quanto ce ne sarebbe bisogno. Invece all’impresa si dedicano poche energie. E ancor meno risorse. Prendiamo le leggi di Stabilità degli ultimi due anni. Per aiutare i disoccupati a trovare un nuovo lavoro sono stati messi sul piatto 100 milioni l’anno scorso e 250 quest’anno. Ma i fondi per il 2018 (i 250 milioni) non andrebbero conteggiati: servono solo a stabilizzare i precari dei centri per l’impiego. Gente che sta già lavorando: nessun incremento del servizio. Invece per allungare di due anni la cassa integrazione nelle aree di crisi complessa e di un anno nelle aziende «strategiche» con più di 100 dipendenti, tra 2017 e 2018 sono stati mobilitati 400 milioni. Certo, allungare la cassa integrazione è un’operazione «popolare». Mettere soldi sulle politiche attive meno. Se non altro perché nessuno sa di che cosa si stia parlando. Eppure da gennaio si dovrebbe cominciare a fare sul serio. Si parte con l’assegno di ricollocazione. Si stima che siano circa 600 mila i disoccupati che ne avrebbero diritto. L’assegno va da 500 a 5.000 euro. Sia chiaro: non si tratta di soldi che entrano nelle tasche dei disoccupati ma di una somma per pagare le attività di orientamento e formazione finalizzate a trovare un posto. Le agenzie private possono svolgere una parte del lavoro. Ma gli addetti del collocamento andrebbero formati. L’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive, si sta facendo carico di mettere in piedi una macchina complessa. Si dirà: eccoci alla solita guerra tra i due partiti del lavoro, i sostenitori delle politiche attive contro quelli della cassa integrazione. In verità politiche attive e passive sono complementari. Utile sarebbe che la campagna elettorale si giocasse anche su questi temi.