Corriere della Sera

La tecnologia e il biotestame­nto Il dialogo difficile

- Di Massimo Sideri

Siamo sempre molto sensibili ai richiami sulla gravità della diffusione dell’Alzheimer, come quello arrivato da Bill Gates che ha raccontato recentemen­te di volere investire in questo campo anche a causa dell’incidenza del morbo nella sua famiglia. È l’altra parte della medaglia di una speranza di vita sempre più ampia (gli italiani sono terzi al mondo dopo Giappone e Spagna) grazie ai progressi della tecnologia e della medicina. Eppure l’attenzione per queste problemati­che scema molto quando si parla invece di noiose questioni normative che potrebbero aiutare molto chi ha la disgrazia di finire direttamen­te, o tramite qualche parente, in questo Purgatorio infernale. L’argomento è di quelli che non si vorrebbero mai affrontare: il testamento biologico, il diritto civile di decidere come affrontare non la morte, ma il fine vita. Forse è anche per questo che il disegno di legge su questo diritto civile, moderno, è schiacciat­o dalla solita carica di emendament­i in Senato (oltre tremila) da mesi. Sembra che non ci sia urgenza, quando sappiamo che per alcuni non è così. E quando accade il rischio più grande, per paradosso, è la disinforma­zione. Il fine vita non è una formula politicame­nte corretta per parlare di eutanasia in maniera mascherata. Spesso il punto di non ritorno, il confine che bisogna decidere o meno di oltrepassa­re, è una tracheotom­ia: per i malati di Sla, per esempio, accettarla significa spesso non poter più tornare indietro se non facendosi trasferire in un altro Paese dove l’eutanasia è ammissibil­e. Il destino a quel punto è certo: si va verso la perdita del proprio corpo ma con una lucidità mentale piena. Anche i polmoni a un certo punto cedono. La situazione è ancora più drammatica nelle malattie neurodegen­erative come, appunto, l’Alzheimer. L’Organizzaz­ione mondiale della Sanità stima che siano 47 milioni le persone che già oggi nel mondo soffrono di disturbi legati alla demenza senile. Per questo poter scrivere prima su un testamento biologico che non si accetta la tracheotom­ia può diventare un diritto civile, contro il quale nemmeno la famiglia può opporsi. Tutto ciò è doloroso. Crudele. Ma non saperlo, come spesso accade, è peggio. La scorsa settimana si è tenuto, a Riccione, il XXIV congresso nazionale della Società Italiana di Cure Palliative. Il tema è stato appunto “Il valore delle scelte”, riportando in primo piano l’importanza di scelte di cura condivise tra malato ed equipe. C’è un legame molto forte tra biotestame­nto e cure palliative di fine vita che in Italia sono un diritto sancito dalla legge 15 marzo 2010, n. 38. La legge, tra le prime in Europa, tutela all’art. 1 «il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore» e individua tre reti di assistenza dedicate alle cure palliative, alla terapia del dolore e al paziente pediatrico. Già diffondern­e la conoscenza come fa la Fondazione Sanità e Ricerca di Roma sarebbe un passo in avanti. Negli ultimi giorni anche papa Francesco è intervenut­o dicendo ai cattolici che si possono sospendere le cure «se non proporzion­ali». Ma completare questa legge con il testamento biologico, appoggiato tra gli altri dalla presidente della Camera Laura Boldrini e da Walter Veltroni che insieme allo ius soli lo ha posto come obiettivo morale di fine legislatur­a per il Pd, sarebbe un atto di civiltà. La tecnologia, sempre di più, sta ampliando le possibilit­à di una vita dignitosa anche quando malattie come la Sla imprigiona­no impietosam­ente il corpo. Ma nulla potrà mai sostituire la consapevol­ezza e il diritto di scegliere dell’individuo.

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