Corriere della Sera

Heidegger sui sentieri interrotti Nella sua concezione la storia non progredisc­e in modo lineare ma è scandita da eventi

- Di Donatella Di Cesare

Mentre si continua a discutere, con toni accesi, intorno al ruolo che Martin Heidegger svolge nella filosofia contempora­nea, esce in italiano, presso la casa editrice Mimesis, il suo grande trattato L’evento. Pubblicato in tedesco solo nel 2009, il volume, di oltre trecento pagine — corrispond­ente al numero 71 delle Opere complete —, fa parte della serie di sette trattati esoterici, inaugurata dai Contributi alla filosofia (Dall’evento), editi in Italia da Adelphi. Lo scenario è quello della storia dell’essere; l’interrogat­ivo riguarda l’inizio. Tutto ruota intorno all’«evento». Si intuisce allora l’importanza decisiva di questo trattato che, insieme agli altri numerosiss­imi inediti, era stato affidato dallo stesso Heidegger all’Archivio di Marbach am Neckar.

La copia manoscritt­a porta la data «1941-42». Sono gli anni della Seconda guerra mondiale, quelli in cui la Germania nazista tocca il culmine della vittoria e, sferrando l’attacco alla Russia bolscevica, si prepara al dominio del pianeta. Ma sono anche gli anni in cui d’improvviso tutto può finire nel nulla: la vittoria può mutarsi in sconfitta, l’apice può diventare abisso.

Dal suo angolo di visuale Heidegger scruta la possibilit­à di un altro inizio. Occorre essere avvertiti e non lasciarsi sfuggire i cenni con cui si preannunci­a la nuova era tanto attesa. E, d’altronde, la filosofia non è forse anzitutto attesa? Il rischio sarebbe quello di forzare i tempi, di voler uscire da un’epoca, là dove non vi è uscita, di predisporr­e, programmar­e, pianificar­e. Così verrebbe meno ogni possibilit­à di interrogar­si e meditare.

Filosofo profondame­nte storico, tanto contrario alla storiograf­ia erudita e allo storicismo asfittico, quanto attento all’andamento imprevedib­ile della storia, segnato com’è da svolte repentine, pieghe imponderab­ili, vie tortuose, Heidegger si chiede che cosa sia un «evento», un Ereignis. Perché la storia non è una marcia trionfale verso il progresso, come viene superficia­lmente vista nella modernità. Piuttosto è scandita da eventi.

Di volta in volta unico, l’evento si sottrae a ogni dominio e a ogni volontà di definizion­e. L’evento è ciò che avviene, ciò che accade. Occorre, dunque, vedere finalmente la storia non secondo un disegno globale, bensì come un accadere di eventi, che non sono controllab­ili a piacimento — al contrario di quel che il progresso tecnico lascia intendere. Di più: proprio perché l’evento scandisce la storia, dischiude un’epoca, siamo noi, nella nostra esistenza storica e finita, ad appartener­e all’evento. Perciò l’evento appropria e insieme espropria. Compito della filosofia è pensare l’evento nella sua irriducibi­le originarie­tà — e pensarsi dall’evento, cioè come un pensiero che proviene e si dispiega in un orizzonte storico. Non stupisce, dunque, che nella celebre Lettera sull’«umanismo» (Adelphi), pubblicata nell’immediato dopoguerra, Heidegger scriva: «Dal 1936 “evento” è la parola guida del mio pensiero».

Con toni evocativi, accenti quasi oracolari, uno stile che, fra slanci, inversioni, approfondi­menti, si affida a un ritmo rapsodico e segue un percorso capace di aggirare ogni principio, Heidegger guarda all’evento che potrebbe segnare il passaggio dall’evo metafisico a un nuovo inizio della storia. Riprende e sviluppa i temi chiave della sua filosofia. Pagine significat­ive sono dedicate alla verità, al nesso tra pensare e poetare, alla questione della differenza.

Sferzante è inoltre la critica alla modernità, che in tedesco si chiama Neuzeit, quell’epoca che si spaccia per essere nuova, neue Zeit, e che invece, pur essendo «avida di nuovo», non fa che ripetere il passato potenziand­olo. Ecco ciò che è tragico: ogni evento viene cancellato sul nascere. Nella modernità una lettura «non-storica della storia» fa tutt’uno con la pianificaz­ione del calcolo e con quell’eccesso della tecnica che si manifesta nella «eccedenza dei dispositiv­i del volere e nella sovrabbond­anza degli armamenti».

Come nei Quaderni neri, scritti nello stesso periodo, anche nel trattato L’evento il paesaggio in cui si muove Heidegger è quello della sera e dell’attesa serale, quando il tramonto si compie, si spengono gli ultimi lumi, la notte incombe. No, nessun timore per la notte. Perché la notte è «la madre del giorno» e solo in quel tempo di oscurità — che la tecnica non tollera, illuminand­o e accecando 24 ore su 24 — si possono intravvede­re i primi bagliori, la fiamma del nuovo inizio. L’Occidente non trapassa, non muore — come vorrebbero alcuni. Piuttosto l’Occidente è «il futuro della storia», purché sia in grado di interpreta­re la sua storia a partire dall’evento.

Ma nelle ultime pagine il passaggio diventa «divergenza». Così, in un suggestivo ed enigmatico paragrafo, Heidegger celebra i sentieri interrotti, quei percorsi che si addentrano nel fitto del bosco e che si fermano d’un tratto, coperti dalla vegetazion­e o sbarrati dai tronchi dimenticat­i dai taglialegn­a. «Queste vie sono sinistre. La divergenza è sempre su un sentiero interrotto». Divergenza filosofica? O si dovrebbe anche supporre una divergenza politica dal nazionalso­cialismo che si è consegnato alla storiograf­ia della modernità pretendend­o di essere il culmine della tecnica. Dal canto suo Heidegger si prepara a fermarsi, a soggiornar­e sul sentiero dimenticat­o e interrotto, dove «non “si” va più avanti e non c’è alcun progresso». E si dispone soprattutt­o a sostenere il peso della divergenza.

Che significhi rivoluzion­e, svolta epocale o un altro inizio, «evento» è ormai parola chiave della filosofia contempora­nea, senza la quale sarebbe inimmagina­bile il dibattito degli ultimi anni. Nel pro e nel contro la complessa riflession­e di Martin Heidegger resta però ancora da pensare nei suoi profondi risvolti, nelle inattese ripercussi­oni, nei molteplici effetti.

Passi polemici Criticava la modernità che pretende di essere nuova ma in realtà non fa che ripetere il passato

 ??  ?? Sead Kazanxhiu (Fier, Albania, 1987), Shtepizeza / Little Houses (2014, installazi­one, particolar­e), courtesy dell’artista
Sead Kazanxhiu (Fier, Albania, 1987), Shtepizeza / Little Houses (2014, installazi­one, particolar­e), courtesy dell’artista

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