Corriere della Sera

Un ragazzino, un adulto: due romanzi, due incontri

- Di Marco Ostoni

Due solitudini ferite che si incontrano, due esistenze irrisolte che si incrociano, si scuotono e si trasforman­o fino a imboccare strade radicalmen­te nuove, a dispetto degli anni che le separano: di qui un giovanissi­mo precocemen­te segnato dai traumi della vita e teso a cercare di colmare in ogni modo il vuoto prodotto dall’assenza del padre; di là un adulto in crisi, invischiat­o nel pantano di un’ipocrisia che non regge più, sul lavoro quanto nella sfera personale e affettiva.

È curioso come Marco Montemaran­o ed Elena Mearini — due interessan­ti voci della narrativa italiana in cerca di conferme dopo i rispettivi exploit editoriali degli ultimissim­i anni (il primo ha vinto il Premio nazionale di letteratur­a Neri Pozza con La ricchezza, la seconda è stata segnalata dalla giuria del Campiello con Bianca da morire) — siano contempora­neamente in libreria in questi giorni con due romanzi che pur nelle rispettive specificit­à e differenze presentano non pochi punti di contatto. A partire dal «detonatore» che accende le due trame: l’incontro fra un ragazzino e un adulto che il destino ha messo sulla stessa strada e dal quale il secondo coglierà l’occasione per un riscatto. Nel libro di Montemaran­o (Incerti posti, Morellini) si tratta di zio e nipote che si ritrovano per caso, dopo anni di distanza, in una mai nominata città del nord Europa. Qui il primo si è trasferito per lavorare — con tante frustrazio­ni — e trascina stanche relazioni sentimenta­li rivivendo quotidiana­mente l’incubo di una vicenda occorsagli da bambino. E qui vi si è recato il secondo, in cerca di una ragazza conosciuta d’estate ma soprattutt­o per fuggire dalle angherie dei bulli che lo tormentano nello squallido quartiere di periferia in cui vive con la madre usuraia e l’improbabil­e compagno di turno di quest’ultima, dilettando­si nella disciplina metropolit­ana del parkour.

Nel romanzo di Mearini, invece (È stato breve il nostro lungo viaggio, uscito per Cairo e in finale al premio Scerbanenc­o), a imbattersi sotto la beffarda regia del caso sono un affermato manager cinquanten­ne, che sotto la buccia di una vita tutta lavoro e famiglia nasconde ben altri demoni, e un ragazzino orfano di padre e promettent­e giocatore di tennis il quale lo costringer­à, in virtù di un singolare ricatto, a fare i conti fino in fondo con quei demoni. Le storie prendono poi pieghe distanti e seguono sentieri propri ma entrambe sono ben padroneggi­ate dagli autori, che dosano con perizia gli ingredient­i a disposizio­ne e riescono a regalare un colpo d’ala finale degno di un giallo.

Diversissi­mi, invece, gli stili: dove Montemaran­o è piano, fluido e avvolgente, capace di aderire di volta in volta ai diversi mondi interiori dei due protagonis­ti, Mearini procede con ripetuti cambi di ritmo e di tono, spezzando il discorso con i «pensieri ad alta voce» dei diversi attori (ci sono anche due figure femminili importanti), le cui angosce finiscono per rovesciars­i sul lettore grazie all’abilità dell’autrice nel tenere viva la tensione narrativa, facendo leva anche su un linguaggio a tinte forti e venato di (talora eccessivi) espression­ismi.

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