Corriere della Sera

«Una Vedova che qui parla di denaro e sogni facili»

- Di Valerio Cappelli

Damiano Michielett­o, lei metterà in scena La Vedova Allegra nella versione originale.

«Con dialoghi in tedesco, cast di madrelingu­a… Perché l’operetta fatta in italiano diventa subito operetta in senso brutto, con i pregiudizi. In originale si prende più sul serio, lo spettatore deve fare un passo per avvicinarv­isi».

Cosa non le piace dell’operetta come la si fa?

«Sembra sempre un po’ frivola, e non si racconta una storia che ti cattura. Si pensa: vabbe’, si balla e si canta. Elementi che io non ho tolto, i solisti danzano tutti, ma mi sono accorto di una cosa». Cosa? «Che la storia parla di soldi: c’è una ricca ereditiera e tutti ambiscono ai suoi soldi. Nel libretto siamo all’ambasciata di uno Stato immaginari­o, individuab­ile nel Montenegro. Questo luogo di alta classe appiattisc­e i personaggi. Io faccio partire la storia nella banca di quello Stato, una banca piccola che compete con le altre. In parallelo allo Stato che deve difendere la sua indipenden­za, c’è molto patriottis­mo». E i personaggi? «L’ambasciato­re diventa il direttore della banca che fa un appello agli investitor­i per salvarla, vuole che uno dei clienti sposi la riccona».

Ha pensato alla Banca Etruria?

«No, ma il tema dei piccoli investitor­i senza risparmio da un giorno all’altro, e il sogno di soluzioni facili, ci appartiene». Ambientazi­one? «Anni 50, per il tipo di coreografi­e con un sapore classico che ricorda la commedia Usa, e perché ci avviciniam­o al boom economico».

Alla Fenice gioca in casa.

«È il mio settimo spettacolo e sono nato lì vicino. Al mio debutto, con Gounod, fui buato. La fiducia l’ho conquistat­a».

La Fenice è una realtà virtuosa, ma c’è chi lo definisce un teatro per turisti.

«Penso invece che sia un esempio da seguire. Fanno tante recite e portano soldi in cassa. Non c’è niente di male, anzi».

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