«Una Vedova che qui parla di denaro e sogni facili»
Damiano Michieletto, lei metterà in scena La Vedova Allegra nella versione originale.
«Con dialoghi in tedesco, cast di madrelingua… Perché l’operetta fatta in italiano diventa subito operetta in senso brutto, con i pregiudizi. In originale si prende più sul serio, lo spettatore deve fare un passo per avvicinarvisi».
Cosa non le piace dell’operetta come la si fa?
«Sembra sempre un po’ frivola, e non si racconta una storia che ti cattura. Si pensa: vabbe’, si balla e si canta. Elementi che io non ho tolto, i solisti danzano tutti, ma mi sono accorto di una cosa». Cosa? «Che la storia parla di soldi: c’è una ricca ereditiera e tutti ambiscono ai suoi soldi. Nel libretto siamo all’ambasciata di uno Stato immaginario, individuabile nel Montenegro. Questo luogo di alta classe appiattisce i personaggi. Io faccio partire la storia nella banca di quello Stato, una banca piccola che compete con le altre. In parallelo allo Stato che deve difendere la sua indipendenza, c’è molto patriottismo». E i personaggi? «L’ambasciatore diventa il direttore della banca che fa un appello agli investitori per salvarla, vuole che uno dei clienti sposi la riccona».
Ha pensato alla Banca Etruria?
«No, ma il tema dei piccoli investitori senza risparmio da un giorno all’altro, e il sogno di soluzioni facili, ci appartiene». Ambientazione? «Anni 50, per il tipo di coreografie con un sapore classico che ricorda la commedia Usa, e perché ci avviciniamo al boom economico».
Alla Fenice gioca in casa.
«È il mio settimo spettacolo e sono nato lì vicino. Al mio debutto, con Gounod, fui buato. La fiducia l’ho conquistata».
La Fenice è una realtà virtuosa, ma c’è chi lo definisce un teatro per turisti.
«Penso invece che sia un esempio da seguire. Fanno tante recite e portano soldi in cassa. Non c’è niente di male, anzi».