Dagli esordi fino alla «Semiramide» In Laguna Rossini si aprì a ogni genere
Libertà compositiva e cesello di virtuosismi: come le bellezze di Venezia
Venezia rappresenta per Rossini gli estremi della sua carriera italiana: fu il pubblico veneziano a scoprire il talento dell’allora diciottenne e ancora assolutamente sconosciuto operista pesarese. Era il 1810, prima di allora aveva composto solo «Demetrio e Polibio» che però sarebbe stato rappresentato nel 1812, a Roma. La prima volta che in un teatro risuonarono le melodie rossiniane fu il 3 novembre 1810, al San Moisé: «La cambiale di matrimonio» iniziò il ciclo delle cinque farse in un atto unico, ad essa seguirono infatti «L’inganno felice», «La scala di seta», «L’occasione fa il ladro» e «Il signor Bruschino» allestite tutte nel breve volgere di un anno, tra l’8 gennaio 1812 e il 27 gennaio del 1813.
Non fu un caso: se il sovrintendente Fortunato Ortombina può sottolineare oggi con orgoglio l’apertura del pubblico veneziano, lo stesso avrebbero potuto fare due secoli fa gli impresari che allestivano opere nuove, magari di compositori non ancora affermati. L’ampiezza di vedute trova conferma anche nei percorsi verdiani: fu qui e non alla Scala che vennero tenute a battesimo «Traviata» e «Rigoletto», secondo le congetture di alcuni musicologi anche perché il suo librettista, Francesco Maria Piave, riusciva a corrompere la censura austriaca con del Sapore d’Oriente «Semiramide» ebbe il debutto alla Fenice nel 1823. Sotto, la versione del 1992, stagione del bicentenario (foto: archivio della Fondazione Teatro La Fenice) pesce che a Milano non si poteva trovare.
Non fu un caso neppure il fatto che questi primi cinque titoli furono delle farse: Venezia è la città di Goldoni e delle sue commedie, e fin da subito Rossini si immerse e rimase profondamente permeato dalle atmosfere, dalla vita e dalla bellezza incomparabile della città. Nel 1813 arrivarono anche i primi due capolavori, non solo nel genere buffo ma anche in quello serio: il 6 febbraio la Fenice teneva a battesimo «Tancredi», mentre a maggio il teatro San Benedetto accoglieva la prima de «L’italiana in Algeri». Il primo periodo veneziano si chiuse nel dicembre 1814 col «Sigismondo», sempre alla Fenice. In Laguna sarebbe tornato nel 1819, per portare al San Benedetto «Eduardo e Cristina», e nel 1823, alla Fenice. «Semiramide» è il titolo che chiude l’esperienza italiana del Cigno di Pesaro, che poi si sarebbe trasferito a Parigi.
Oltre ad essere un’opera estremamente moderna (e che in quanto tale permette grande libertà ai registi), «Semiramide» conferma l’influenza veneziana su Rossini: come i tanti turisti, i residenti, chiunque sia passato e rimasto qualche tempo in Laguna o chi trovandosi in piazza San Marco può contemplare i pezzi trasportati dai crociati direttamente da Costantinopoli, a Venezia Rossini poteva sentirsi vicino al Medio Oriente e all’Oriente, si sentiva pronto per salpare per un viaggio verso il mito. Se poi Rossini rivoluzionò il teatro scrivendo nel dettaglio e quindi prescrivendo le «colorature» (i virtuosismi vocali che i cantanti amavano sfoggiare entusiasmando pubblici adoranti), anche la struttura stessa della Fenice dettò al compositore alcune soluzioni: per l’acustica e la distanza breve tra il palco e anche le ultime file della platea Rossini si sentiva libero di esaltare non solo le pirotecnie vocali di soprani e contralti, ma anche l’espressività musicale, lo sfarzo da scolpire anche attraverso un trattamento assai virtuosistico dell’orchestra; elementi che sicuramente erano in grado di coinvolgere ed esaltare il pubblico. Oltre che le maestranze, qui funzionavano bene anche le infrastrutture: come poi anche a Verdi, il teatro offriva un modello produttivo efficiente e che metteva al centro il compositore; era lui a decidere l’ordine del giorno, anche quali costumi e quali comprimari provare in una certa data. E questo nonostante la Fenice fosse ancora un teatro giovane: aveva trent’anni di vita e rappresentava la realizzazione di un sogno cittadino.
Fase feconda Quell’anno tra il 1812 e il 1813 con il debutto di cinque farse: era l’influenza di Goldoni