Mladic, la condanna del Boia
Ergastolo al generale Ratko Mladic, supremo comandante dei serbi in Bosnia. Fino all’ultimo ha sfidato la corte all’Aia
Centinaia di testimoni, migliaia di prove, nessun dubbio: a Srebrenica agì «consapevolmente», a Sarajevo «ordinò di ripulire e distruggere la città». Il Boia dei Balcani, l'ex generale delle forze serbo-bosniache Ratko Mladic, è stato condannato in primo grado all'ergastolo dal Tribunale dell'Aia per i crimini nella ex Jugoslavia. A 74 anni, dopo venticinque d'attesa, quindici di latitanza e quattro di processo, Mladic è rimasto solo con se stesso, espulso dall'umanità e dall'aula per aver urlato contro i giudici della Corte. L'ex procuratrice Carla Del Ponte: «Ora sia rinchiuso per sempre».
«Io mi fido solo di me stesso e del mio cavallo», diceva una vita fa, accarezzando la figlia Ana, in un video che si trova ancora su YouTube. Ana poi si suicidò per la vergogna, con la pistola di papà. Lui di cavalli non ne ha più. E ieri a mezzogiorno, espulso dall’umanità e perfino dall’aula del Tribunale internazionale dell’Aia che lo stava condannando in primo grado all’ergastolo, Ratko Mladic è rimasto solo con se stesso. A 74 anni, dopo venticinque d’attesa, quindici di latitanza e quattro di processo, il Boia di Srebrenica è tornato per sempre in una cella e nella galleria dei mostri del ‘900. Colpevole del genocidio di bosniaci e croati, del bombardamento e del cecchinaggio su Sarajevo, della presa in ostaggio di caschi blu. Undici imputazioni, ma solo per non farla troppo lunga a parlare dei troppi lager, della pulizia etnica e delle devastazioni. Il generale serbo le ha provate tutte: a negare qualsiasi responsabilità, a dipingersi protettore dell’Europa dall’invasione islamica, a nascondersi negl’infarti che l’hanno colpito, a chiedere di farsi curare a Mosca, all’ultimo perfino chiudendosi 40 minuti in bagno per rallentare la sentenza e sbraitando contro il giudice olandese, Alphons Orie.
Centinaia di testimoni, migliaia di prove, nessun dubbio: a Srebrenica, Mladic agì «consapevole e in modo significativo», dice la sentenza, «propose e ordinò di ripulire e distruggere Sarajevo». Qualche esempio? Inorridito da massacri che non si vedevano in Europa dal nazismo, il giudice Orie cita i ventidue musulmani costretti a saltare dal ponte Brhpolje e ammazzati dai serbi che sparavano loro addosso. O gli stupri su bambine di 12 anni. O quella madre che il proiettile d’uno «snajper» trapassò allo stomaco, andandosi a conficcare nella testa del bimbo tenuto in braccio. «Ho potuto seppellire solo due ossa dei miei figli — dice Munira Subasic, madre di due degli oltre ottomila sterminati a Srebrenica —. A Mladic auguro che appaiano in sogno tutte le notti. Assieme a sua figlia Ana…».
Un ergastolo e basta per la «crna bajka», la favola nera dei Balcani che costò centomila morti e più di due milioni di sfollati. Sfuggito per tre lustri a una taglia da 10 milioni di dollari, così protetto dai serbi da potersi permettere nella latitanza d’andare allo stadio a Belgrado o sulle spiagge del Montenegro: la condanna di Mladic esclude il genocidio in sei città e «arriva un po’ tardi», dice il cardinale di Sarajevo, Ivo Tomasevic. Nonostante le proteste dei nazionalisti, il Tribunale dell’Aia è stato garantista: finora aveva inflitto ai serbi pochi ergastoli e 758 anni di carcere, dandone «solo» 40 all’ideologo delle pulizie etniche, Karadzic, undici alla sua vice Plasic (oggi libera nella casa di Belgrado) e assolvendo l’«hajduk», «l’eroe» delle guerre croate Seselj.
Boia che molla? Per nulla. Anni fa, in un sondaggio, un serbo su due ammise che con Mladic avrebbe bevuto volentieri una grappa e la principale tv belgradese, Pink, oggi parla di sentenza «vergognosa». Solo il premier Vucic, che fu portavoce di Milosevic, per non compromettere la candidatura all’Ue dice che «noi serbi siamo pronti ad accettare le nostre responsabilità, altri popoli non lo sono». A Lazarevo dove il generale fu catturato, a Mladicevo dove nacque, è lutto cittadino. «Le frontiere sono sempre state tracciate col sangue», è l’esergo che Mladic faceva scrivere sotto il simbolo delle sue armate. Il Boia farà appello contro il tribunale e lancia un messaggio tramite il figlio Darko: «E’ tutta una menzogna, mi ha giudicato una corte della Nato. Dalle guerre jugoslave, nel mondo ce n’è state altre. Ma non abbiamo visto giudicare un Mladic in Siria o altrove». Tempo fa, davanti alle telecamere, citò De Gaulle e diede appuntamento all’inferno: «Vivrò a lungo, ma state tranquilli: prima o poi, morirò anch’io».