Quando lei discuteva di denaro e segretezza
Milano, ieri mattina, convegno in hotel prestigioso, «C5-Il primo evento in Italia sulla compliance anticorruzione», con «la partecipazione di consiglieri Anac», «panel di giudici e pubblici ministeri», e poi «esclusiva tavola rotonda sulle women in compliance»: «sponsor principale» del forum sull’«obiettivo sempre più cruciale di ridurre l’esposizione del settore pubblico al rischio di corruzione»? Ernst & Young, cioè proprio lo studio legal-tributario (associato al network internazionale) che la Procura accusa di aver corrotto con 220.000 euro nel 2013-2015 la consigliere fiscale del ministro dell’Economia, Susanna Masi, in cambio di «notizie riservate possedute grazie al suo ruolo istituzionale», e della «disponibilità a proporre a vantaggio di E&Y modifiche alla normativa fiscale in via di predisposizione». Masi, da fine 2012 negli staff poi di tre ministri, in precedenza professionista nel dipartimento fiscale di E&Y, «ha intenzione di farsi interrogare dai pm, con l’assoluta convinzione di dimostrare la correttezza del proprio operato e l’infondatezza degli addebiti», fa sapere il difensore Giorgio Perroni, mentre E&Y «esclude di essere incorsa in qualsivoglia reato» e assicura che «una rigorosa indagine interna contribuirà a chiarirne l’assoluta integrità». Due posizioni non esattamente sovrapponibili alle mail e intercettazioni nelle quali il rappresentante della società, Marco Ragusa, discuteva di come pagare (da Milano o da Londra?) la consigliera, e costei si infastidiva di figurare in copia nei dialoghi-mail della società e si raccomandava che il permanente rapporto con la società restasse invece segreto, perché rimarcava appunto di essere non più una della società, ma una del ministero. Generando nel manager la candida obiezione su cosa quindi si sarebbe potuto pensare ai piani alti di E&Y: ma allora, se non sei dei nostri, che ti paghiamo a fare?