Il gruppo: «La pagavamo ma non c’è stato reato Aiutavamo una collega»
«Nessun conflitto di interessi, nessuna comunicazione riservata ma solo commenti di fatti noti» tra Susanna Masi, consulente del ministero dell’Economia, e la società di consulenza Ernst & Young, dalla quale è stata stipendiata con 220 mila euro anche durante l’incarico a via XX Settembre, e con il cui partner Marco Ragusa (anch’egli indagato) si scambiava email e colloqui su temi rilevanti — e secondo la Procura di Milano, riservati — sulla fiscalità internazionale in materia finanziaria. È la linea di EY espressa ieri sera da Roberto Lazzarone, 59 anni, presidente dello Studio Legale Tributario, associazione di professionisti che fa parte del network mondiale EY. Anche
lo studio è indagato per corruzione per la legge sulla responsabilità amministrativa. Dottor Lazzarone, che effetto le ha fatto l’inchiesta?
«Siamo rimasti attoniti: ma posso escludere che lo studio sia parte di un reato. Noi riteniamo di avere operato secondo i nostri principi fondanti di correttezza, trasparenza e rispetto delle leggi. Nondimeno, c’è una massa di documenti da esaminare, ma siamo fiduciosi
nell’attività della magistratura». Che rapporti avevate con Susanna Masi?
«Noi abbiamo circa 600 collaboratori e circa 40 partner. Lei era tra i nostri collaboratori dal 2006 e fino al 2014 ha percepito un compenso come consulente di fiscalità finanziaria. Ma non era partner».
Perché avete continuato a pagarla anche dopo che era passata al ministero dell’Economia nel 2012?
«Quando ha iniziato con il Mef non è stato subito risolta la collaborazione; l’abbiamo terminata solo quando quel rapporto con il Mef si è consolidato. La cifra apparsa è il compenso di tre anni. Più o meno 60-70 mila euro l’anno,
circa 5 mila al mese». Ma perché pagarla?
«Poteva essere che sarebbe tornata a lavorare con noi, non abbiamo avuto fretta di interrompere il lavoro. Abbiamo dato una mano a una collega». Quindi ha continuato a lavorare per voi...
«Devo verificare come si è evoluto il rapporto ma è diminuito man mano».
Voi vi occupate di regole, di compliance: non avete una regola che impone di non continuare a stipendiare?
«Non si era intravisto un conflitto di interesse. Cioè poteva porsi il tema solo astrattamente, non nei fatti». E le mail con Ragusa?
«Ragusa era il socio cui lei si riferiva. Escludiamo che ci sia stato un coinvolgimento, un’attività dello studio atta ad avere informazioni confidenziali dal Mef. Per quello che comprendo, si riferivano a informazioni di pubblico dominio. Non riteniamo che da queste mail possano derivare cose penalmente rilevanti».
«Da noi 5 mila euro al mese, non avevamo intravisto alcun conflitto di interessi»