VERSO UN VOTO INTERLOCUTORIO CHE PREFIGURA UN NULLA DI FATTO
La sensazione sempre più diffusa è che il Quirinale sia orientato a sciogliere le Camere entro fine anno. E dunque che le elezioni politiche si svolgeranno tra il 4 e l’11 marzo del 2018. Ma politicamente, quello che colpisce è un giudizio unanime sul carattere interlocutorio del voto: nel senso che difficilmente dalle urne emergerà un vincitore. Di più: il risultato non darebbe a nessuno la maggioranza per governare; e forse neanche sarà possibile mettere in piedi una grande coalizione sulla quale si ricama da mesi.
Conseguenza paradossale: il governo provvisorio di Paolo Gentiloni rimarrebbe al suo posto fino al momento di chiudere la crisi; o della celebrazione di nuove elezioni. Le lacerazioni a sinistra,confermate ieri dopo l’ultima, infruttuosa trattativa tra Pd e Mdp, la consistenza ridotta dei due partiti di centrodestra, e la pretesa di autosufficienza del Movimento 5 stelle, congiurano per un epilogo del genere. In qualche misura, la campagna elettorale diventerebbe in questo caso solo la prova generale di una seconda campagna elettorale a breve scadenza.
Ma difficilmente gli equilibri e i rapporti di forze rimarrebbero gli attuali. Lo scenario più probabile prevede carte rimescolate, se non rivoluzionate, a sinistra; tutto il sistema dei partiti costretto a una catarsi collettiva come conseguenza della sua impotenza; e magari un nuovo esecutivo chiamato solo a riscrivere la legge elettorale appena approvata: un meccanismo rivelatosi disastroso per la stabilità; e chissà, di qui a primavera sottoposto a un nuovo vaglio severo della Corte costituzionale, come l’Italicum.
Insomma, l’Italia sembra destinata a condividere una sorta di «sindrome tedesca». In Germania, la cancelliera Angela Merkel non è riuscita ancora, a tre mesi dalle elezioni, a mettere insieme una coalizione. Caso non isolato: era accaduto lo stesso negli anni scorsi in Belgio e in Spagna. Eppure, soprattutto in Germani,a la struttura delle forze politiche è più solida che altrove. Si tratta del sintomo e della conferma di un sistema che fatica a funzionare dovunque; e della difficoltà non solo di formare maggioranze coese, ma anche di conciliare interessi troppo divergenti per essere saldati in una coalizione di governo.
Probabilmente, nel caso italiano occorre aggiungere una filiera di errori e di fallimenti non analizzati e dunque non affrontati adeguatamente. Le ipotesi di alleanze emerse in queste settimane non riducono ma confermano la confusione. E il livello dell’astensionismo allunga un’ombra su tutti. Nessuno sa bene come andrà a finire. E dunque, sia quando si rifiutano intese, sia quando le si lascia balenare, in realtà si pensa solo a rastrellare qualche voto in più. Nella nebbia, cresce la consapevolezza di soluzioni che non saranno né rapide, né indolori.