Corriere della Sera

L’Ira, l’arresto, il riscatto Michael, bolognese d’Irlanda che oggi aiuta gli stranieri

In cella a Londra 20 anni fa, ha un’associazio­ne per l’integrazio­ne

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Michael Phillips, anche se ha ancora una faccia da ragazzo, ha 42 anni. Da dodici vive a Bologna dove ha fondato un giornale per gli stranieri che arrivano in città. Originario di Belfast, ha girato per tutta l’Europa fino a quando ha deciso di fermarsi sotto le Due Torri dove qualche mese fa ha dato vita a un’associazio­ne dal nome ambizioso, One World, che lavora per l’integrazio­ne degli stranieri e alla quale hanno già aderito una cinquantin­a di nuovi bolognesi. Anche la sua è una storia di integrazio­ne come tante, se non per un piccolo particolar­e: il prossimo 17 dicembre saranno vent’anni esatti che è uscito di prigione, dalla Special Secure Unit di un carcere di Londra. È stato dentro per un anno e mezzo e conserva ancora il diario quotidiano di quel periodo.

Che cosa era successo? Per spiegarlo Michael mostra la prima pagina del Sun del 25 settembre 1996: c’è la foto di un ragazzo di 21 anni, arrestato dalla polizia mentre è al lavoro all’aeroporto di Gatwick, è un ingegnere della British Airways. Per la verità è ingegnere da poche ore perché si è laureato il giorno prima e come scrive il Sun in quel momento ha tutta la vita davanti. Secondo gli inquirenti fa parte di un commando dell’Ira (Irish Republican Army) che prepara un attentato con delle bombe a Londra. Quel ragazzo era lui.

Per Michael oggi, dopo tanto tempo, è arrivato il tempo di fare i conti con il passato. «Sono cresciuto nella parte Ovest di Belfast — spiega — in un contesto di violenza, ho accumulato rabbia e frustrazio­ne per anni, quando ero un ragazzino tiravo pietre alla polizia e a un certo punto mi sono unito alla lotta repubblica­na per un’Irlanda unita». Poi scandisce: «Sono stato prigionier­o di guerra». E a chi gli chiede perché sente il bisogno di parlarne solo oggi, rispontell­i de così: «Per quel che può servire, adesso che fanno vent’anni che sono uscito dal carcere, vorrei poter dire che deve sempre esserci un’alternativ­a alla violenza: anche se si lotta per una causa giusta la violenza è sbagliata perché ci toglie le vite, gli affetti, ci separa dalle nostre famiglie e colpisce tanti innocenti che non c’entrano niente. È un discorso che vale per tutti, per questo nella mia associazio­ne con gli altri stranieri lavoriamo sull’integrazio­ne, sulla pace e sul dialogo per cambiare le cose».

Gli anni della giovinezza di Michael a Belfast sono stati complicati. «Eravamo otto fra- e ci ha cresciuti la mamma, a diciotto anni ci ha mandato a Londra, per noi cattolici non c’erano prospettiv­e a rimanere lì. Ci ha mandato via per la nostra sicurezza. Andavo a scuola e c’erano i check point della polizia, c’era violenza in classe, in strada e anche a casa perché avevo un padre alcolista, macchine e autobus bruciate in strada, soprattutt­o d’estate. Per la mia famiglia è stata dura vivere lì, tutti avevano qualche disgrazia da raccontare: parenti uccisi, feriti, qualcuno in galera. Siamo cresciuti in mezzo alla ribellione e con il culto della lotta».

Phillips è uscito di prigione relativame­nte presto perché non tutti i giudici popolari credettero alla sua colpevolez­za ma non c’è verso di chiedergli di più perché ripete soltanto quella frase: «Sono stato un repubblica­no prigionier­o di guerra, una sigla, Pow, che sta per prisoner of war». Ma si può indagare invece sul suo bisogno, adesso, di fare i conti con il passato: «Per molti anni ho girato per l’Europa senza avere un lavoro stabile, poi cinque o sei anni fa la mia ragazza, israeliana, mi ha convinto

I conti con il passato «L’infanzia a Belfast, tra esplosioni e checkpoint: dopo il carcere ho avuto incubi»

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Tabloid La prima pagina del quotidiano inglese the Sun con la notizia, il 25 settembre 1996, dell’arresto di Michael Phillips, allora ventunenne

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