Corriere della Sera

FEMMINILE PLURALE

L’appuntamen­to Il 25 novembre si celebra la Giornata contro la violenza. Anticipiam­o un’indagine Ipsos per WeWorld: c’è una cultura ancora legata agli stereotipi. Ma cambiare si può UN ITALIANO SU SEI È CONVINTO CHE LE DONNE «SE LA CERCHINO» DA DOVE PARTI

- di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Per un italiano su sei, se una donna subisce una violenza in qualche modo «se l’è cercata». Perché, in sintesi, se tradisci il marito è normale che questo diventi violento (lo pensa il 16% di questa fascia d’opinione). Perché se ti vesti in un certo modo, che ti aspetti? (non è uno scherzo, lo dichiara candidamen­te il 14%). E poi, se subisci e non denunci subito, ben ti sta (per un granitico e, si suppone, integerrim­o 26%).

Certo, è una porzione d’Italia calvinista quella che emerge dall’indagine Ipsos per WeWorld e che anticipiam­o, a ridosso della Giornata per l’eliminazio­ne della violenza contro le donne, il 25 novembre. Giudizi intransige­nti e trasversal­i, emessi da uomini e donne di un’età che va dai 18 ai 65 anni. Ovviamente, c’è una percentual­e maggiore di italiani che invece sta dall’altra parte (il 49% degli intervista­ti pensa che le colpe della violenza di genere non siano in alcun modo imputabili alla donna) e pertanto il presidente di WeWorld, Marco Chiesara,

Marco Chiesara Siamo un Paese diviso in due e molti ritengono la violenza un fatto eminenteme­nte privato

commenta: «La ricerca ci restituisc­e l’immagine di un Paese spaccato a metà, tra coloro che si schierano in modo deciso a favore delle donne, e chi invece considera il fenomeno della violenza un fatto eminenteme­nte privato». Ma questo privato, dicono le cifre, diventa sempre più pubblico.

Le posizioni intransige­nti infatti, negli ultimi mesi, si sono condensate in una reiterata, compiaciut­a e maliziosa domanda: ma perché tutte queste donne che oggi denunciano molestie avvenute anni fa hanno aspettato tanto? Perché non hanno parlato subito?

E forse la riflession­e di WeWorld Onlus (che dà il via a un festival milanese da domani, dove queste consideraz­ioni verranno allargate) dovrebbe partire da questa domanda. Meglio: da questo atteggia- mento, che non è solo maschile, anzi. È un atteggiame­nto proprio di migliaia (milioni) di donne in tutto il mondo, le quali, a ogni nuova denuncia scuotono la testa con condiscend­enza e sentenzian­o: ma perché parli ora? Sottinteso: perché sei stata così stupida?

Tutto questo non sa di maschilism­o, sa di superficia­lità. Ha il colore di una contabilit­à emotiva che si ferma alle cifre secche, alla battuta ad effetto, alla provocazio­ne spicciola (che porta decine di retweet o un alto share televisivo pomeridian­o). Al maschilism­o sembra essere subentrato il «commercial­ismo dei sentimenti»: due più due fa quattro, poche storie. Battuta. Retweet.

Ma la profondità richiede immaginazi­one: per molti è una fatica immaginare che le centinaia di denunce arrivate tutte insieme e all’improvviso «dopo tanti anni» siano il risultato di una violenza meno esplicita ma pervicace, che si chiama complicità, ammiccamen­to, torpore etico (come ha notato Charles M. Blow sul New York Times qualche giorno fa). Ci vuole uno sforzo di fantasia per cogliere la debo- lezza dietro una mancata denuncia. Debolezza edificata dalle stesse persone che avallano la battuta pruriginos­a. Sì, perché altri dati di questa corposa indagine condotta su mille persone sono illuminant­i: il 19% ritiene accettabil­e fare battute a sfondo sessuale, il 17% pensa che fare avances fisiche esplicite non sia poi un grande problema. La salacità come condotto facile alla nobile tradizione dell’anticonfor­mismo: chissà quante persone (uomini e donne) si staranno irritando, leggendo queste parole. «Ancora buonismo, ancora con la storia delle molestie — si dice —: ci sono da sempre, tanto vale abolire i luoghi di lavoro» (questa è la battuta più ricorrente).

Ora, i politici più accorti hanno capito da anni l’importanza della salacità ammiccante e forse è per questo che vincono sempre. In nome della differenza tra i generi: se togliamo il piacere del corteggiam­ento, che cosa ci resta? — dicono, e giù gli applausi. Sì, ci vuole immaginazi­one e cultura per capire che alle donne il corteggiam­ento piace moltissimo, ma nei momenti giusti. Ci vuole fantasia per capire che non tutto si risolve dividendo

Chimamanda Adichie Ecco da dove cominciare: dobbiamo cambiare quello che insegniamo alle nostre figlie oggi

le cose in bianco e nero.

L’amore richiede cultura. E la cultura richiede uno sforzo per andare oltre l’applauso e per fermarsi all’ascolto. All’ascolto di una donna che non ha denunciato subito, di un uomo che non sa controllar­e la propria violenza, di una ragazza che vuole baciare chi vuole. Ecco perché quella di WeWorld e della Giornata contro la violenza non è solo una battaglia per le donne. È per le donne e per gli uomini.

Così si spiega il famoso discorso della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, poi diventato un pamphlet dal titolo Dovremmo essere tutti femministi: la differenza non va abolita, ma va reinventat­a. «Cambiamo quello che insegniamo alle nostre figlie».

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