«Il ruolo nella politica e nel lavoro La mia lotta quotidiana dal Brasile»
In uno degli Stati più poveri, suor Erbenia si batte contro la miseria
Erbenia de Sousa non è una suora qualunque. Non gira in tonaca, preferisce i jeans. Vive nella cittadina di Crateús, nel Ceará, uno dei più poveri Stati brasiliani, cuore del territorio semi-arido più popolato al mondo. Ed è al fianco della sua gente che da sempre Erbenia lotta per strappare le donne alla miseria e alla violenza.
Il Brasile è quinto al mondo per numero di femminicidi. Nel Nord Est, dove lei vive, si parla di 6,9 omicidi ogni 100 donne. Una strage...
«Sono numeri che riguardano le grandi metropoli. Nella regione sono ancora più alti. Non si parla quasi mai dei dati delle campagne. E d’altronde non riusciremmo neppure a raccoglierli, perché molte donne restano in silenzio, non rivelano ciò che accade nella loro vita quotidiana, che è di profonda violenza».
Tutto questo finirà?
«Deve finire! Dobbiamo disfarci di questo modello, fatto di violenza profonda ed eliminazione della vita, specialmente di coloro che vivono nelle condizioni più umili. E in questa decostruzione bisogna innanzitutto capire le nostre radici. Siamo figlie, siamo erefondamente «Suora Coraggio» Suor Erbenia de Sousa (al centro in bianco), la religiosa che a Crateús in Brasile lotta per i diritti al femminile. Suor Erbenia sarà al festival di WeWorld sabato di di un utero violentato da un’invasione, qui nel nostro Paese. Cinquecento anni di oppressione. E di silenzio».
Come si decostruisce?
«Con l’educazione, che deve essere contestualizzata alla realtà di queste persone. E con un profondo impegno di organizzazioni governative e non governative, attraverso progetti che garantiscano il dialogo e l’inserimento nel mercato».
Lei predica la «vocazione della terra». Cosa significa?
«L’essere umano è la Terra! In questo momento c’è un profondo e violento disaccordo tra noi e la terra. Dobbiamo tornare a prendercene cura. Per farla guarire, perché è pro- ferita».
Lei appoggia il Movimento dei «Sem Terra»? E qual è il ruolo delle donne nella lotta per la ridistribuzione delle terre dei grandi latifondi?
«Sostengo i movimenti che lottano affinché tutti possano vivere con dignità. In città o in campagna. La donna è coinvolta dal momento dell’occupazione all’esodo. Quando Miriam attraversa il Mar Rosso, riunisce il gruppo e dice: c’è un motivo per danzare e cantare, siamo riusciti nell’impresa. Francamente, siamo noi donne a dare sicurezza. Chi riflette sullo spazio, chi condivide i compiti, chi affronta il dialogo? È la donna la spina dorsale di questo movimento di conquista e occupazione. Che esso sia nel mondo del lavoro o nella cura della terra».
Ma non fu Mosè ad attraversare il Mar Rosso?
«Mosè lo ha attraversato perché Miriam lo ha spinto. Altrimenti, sarebbe balbuziente ancora oggi».
Lei ha ricevuto diverse minacce da politici locali e latifondisti. Ha paura?
«Io ho paura di perdere la capacità di indignarmi. È tutta questa società, con il suo modo di fare, ad essere minacciosa. Non solo il latifondista. Ma no, io non ho paura».
Come s’insegna alle donne delle favelas, alle senza terra, alle vittime di prostituzione e droga a non avere paura?
«Non ho nulla da insegnare. Ma essere vicini, ascoltare, camminare con gli altri, aiutarli a chiedersi perché e a trovare nella propria risposta la ragione per superare le difficoltà, è di per sé un percorso metodologico. Non c’è niente da insegnare. Devi essere complice. È ciò che fa Gesù con la donna che sta per essere lapidata. Non parla di peccato. Scende nella realtà che questa persona vive e, facendolo, si unisce e sale alla vita».
Molte donne, però, ancora convivono con la paura...
«Se scopriamo il potenziale che abbiamo dentro di noi avremo la forza di liberarci».
E il ruolo dell’uomo?
«Deve decostruire, riuscire a scoprire in sé ciò che la storia gli ha imposto come negazione: la capacità di indignarsi, la sensibilità, la complicità».
La fede aiuta?
«Oh sì. Il Vangelo dice che muove le montagne! Immagina qui, in questo luogo semiarido che non ha neppure una montagna».